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Friuli: né salame, né polpetta. Semplicemente Pitina

Le impervie valli del Pordenonese hanno fatto da cornice alla nascita di un prodotto unico creato per conservare il più a lungo possibile le poche carni a disposizione

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Courtesy of ©PR Dolomiti Friulane/Parks.it
Pitina, prodotto tipico friulano
Nata tra le valli impervie sulle montagne che sovrastano la provincia di Pordenone, la Pitina è un prodotto particolare, a metà tra un salume e una polpetta, e dunque unico e inimitabile. Il sapore intenso e selvatico è il suo punto di forza ma ha rischiato di esserne, al tempo stesso, anche la condanna non incontrando sempre il gusto dei palati più moderni. Se non è sparita, infatti, è soltanto grazie ad una manciata di produttori che ne hanno perpetuato la tradizione e alla Fondazione Slow Food che ne ha fatto un suo Presidio.

LA TRADIZIONE E' una storia lunga quella della Pitina friulana, una storia che racconta di stenti e di povertà, di luoghi impervi e di fatiche. C'è chi dice che il tipico salume delle montagne di Pordenone risalga niente meno che al XV secolo, e chi, invece, sostiene che si debba attendere la fine del XVIII secolo o gli inizi del XIX per datare le origini di questa piccola prelibatezza dal gusto selvatico. Quel che è certo è che questa polpetta saporita nasce dalla necessità di poter conservare a lungo la poca carne di cui gli abitanti delle valli alpine disponevano. Non carne di maiale, rara e pregiata a quelle latitudini (ed altitudini), ma carne di camoscio, capriolo o selvaggina cacciata (talvolta di frodo) tra le montagne, e carne ovina, ma solo di quelle pecore e capre che si ferivano o si ammalavano, perchè il bestiame in salute era troppo prezioso ed importante per la produzione del latte e dei suoi derivati. Era, dunque, un prodotto “di fortuna” la saporita polpetta ottenuta dai valligiani macinando le carni a disposizione, insaporendole con erbe ed aromi naturali del luogo, ricoprendole di farina di mais, perchè all'epoca non disponevano di budella per poter insaccare le carni, affumicandole e lasciandole stagionare. Un prodotto che permetteva di sfruttare al meglio la poca carne che capitava di ottenere e di poterla conservare e consumare anche per tutto l'anno. La sua preparazione, inoltre, non richiedeva particolari tecniche e attrezzature e proprio per per questo poteva essere effettuata anche nelle malghe più remote. Nel corso del tempo, però, proprio questo suo sapore persistente e differente dai gusti più delicati e gentili apprezzati dai palati “moderni”, la polpetta dei valligiani pordenonesi ha rischiato di scomparire. Almeno fino a quando la Fondazione Slow Food non ne ha fatto un suo Presidio contribuendo a salvaguardarne la tradizione e a promuovere il prodotto anche al di fuori della zona di origine.

LA DENOMINAZIONE Esistono altre due varianti della Pitina che prendono il nome di Peta e Petuccia e se ne differenziano per l'area di produzione (la Pitina è tipica soprattutto della Val Tramontina, la Peta di Andreis e la Petuccia della Valcellina e di Claut), la forma e le dimensioni, e i tipi di aromi impiegati per insaporirla. Solo la Pitina, però, probabilmente perchè rimasta nel tempo più fedele alla ricetta tradizionale, è diventata Presidio Slow Food ed è stata inserita nell'elenco nazionale dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) redatto dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali.

LE CARATTERISTICHE Il sapore delle Pitina è deciso e sapido, talvolta ingentilito dall'impiego di carni o lardo di suino introdotte in epoca moderna, e caratterizzato da un piacevole aroma di fumo e di erbe. Esteticamente si presenta di forma simile a quella di una polpetta lievemente appiattita, dalla superficie ricoperta di farina di mais che assume un colore variabile dal giallo dorato al bruno, in base alla durata del periodo di stagionatura. Al taglio si nota la pasta magra e di grana molto fine, dal colore variabile dal rosso vivace al bordeaux intenso, con la parte esterna più scura di quella interna a causa del processo di ossidazione.

LA PRODUZIONE La Pitina si ottiene disossando e triturando la carne in un apposito recipiente in legno chiamato pestadora ed aggiungendo aglio, sale, pepe nero ed aromi, solitamente erbe alpine. Con le mani si lavora l'impasto dandogli la forma di polpette leggermente schiacciate che poi vengono ricoperte di farina di mais e sistemate in appositi locali dedicati all'affumicatura effettuata prevalentemente con legno di faggio. Si procede, quindi, alla stagionatura che ha una durata di almeno 30 giorni. La produzione della Pitina è concentrata nei mesi tra settembre e giugno, in quanto durante la bella stagione gli allevamenti ovicaprini vengono condotti ai pascoli estivi.

LA CULTURA Peta, Pitina e Petuccia condividono lo stesso procedimento di preparazione ma si differenziano talvolta per fattori estetici, la Peta ad esempio è di dimensioni più grandi, o per il sapore conferito dagli aromi utilizzati. Per venire incontro al mutamento dei gusti dei palati contemporanei le ricette della Peta e della Petuccia hano subito consistenti modifiche, con riferimento soprattutto alle carni utilizzate, tra le quali oggi trovano largo impiego quelle bovine e suine. Quanto alla Pitina non si sono registrate, al contrario, variazioni rilevanti alla ricetta originaria se non una lieve aggiunta, talvolta, di lardo o carne di suino per stemperare il gusto estremamente selvatico delle altre carni impiegate.

IN CUCINA La Pitina è ottima gustata al naturale, dopo 30 giorni di stagionatura, semplicemente tagliata a fette, come fosse un salame, ma risulta particolarmente gradevole anche consumata cotta come ingrediente di numerose ricette locali. Da non perdere, ad esempio, la Pitina alla brace, la Pitina scottata nell'aceto e servita con la polenta, aggiunta nel minestrone di patate, oppure fatta al cao, ossia cotta nel latte di vacca appena munto.

La ricetta: Pitina in brodo di polenta. Ingredienti: Pitina, burro, polenta. Tagliare la Pitina a fette e scottarla in un tegame con un po' di burro. Nel frattempo cominciate a preparare la polenta facendo sciogliere la farina in acqua salata e quando l'impasto è ancora liquido versatelo sulle fette di Pitina cotte nel burro. Lasciate rapprendere, poi servite in tavola.

IL TERRITORIO La Pitina viene prodotta in sole tre valli della provincia di Pordenone, tra il Piave e il Tagliamento, nel comprensorio alpino che domina l'alta pianura friulana occidentale. Un territorio selvaggio e impervio che conquista gli amanti del trekking, del parapendio e dell'alpinismo con i suoi paesaggi mozzafiato. Ognuna delle tre valli vanta una sua particolare bellezza: la Val Tramontina, ad esempio, colpisce per i suoi scenari incantevoli ed incontaminati, la Valcellina si presenta come una gola profonda e tortuosa scavata tra le rocce erose della gelide acque alpine, mentre la Val Colvera sorprende con la sua splendida forra dalle pareti a strapiombo. Un trionfo di natura e di bellezze paesaggistiche tutte da scoprire ed esplorare.

Altre ricette:
Brodetto alla pescarese
Spumette di Nocciola di Giffoni
Cherry Brandy

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