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Emilia Romagna Come preparare le tigelle

Tigelle, protagoniste della tavola emiliana 

Tigelle o crescentine? Questo è il dilemma

Tigelle
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Tigelle
Nel ricchissimo, immenso, sterminato patrimonio gastronomico dell’Emilia Romagna si annovera un panificato speciale, che è nato sugli Appennini per poi ‘scendere’ a valle e arricchire le tavole di tutto il modenese e il bolognese: è la tigella o crescentina, che si distingue da altri suoi simili per la particolare modalità di cottura. È un caposaldo del menu tradizionale modenese, ma è anche diffusissima nelle osterie del bolognese, ed è usato alla stregua del pane, riempito e mangiato come piccoli panini.

La tigella o crescentina è una sorta di focaccina piccola e tonda, più spessa e soffice di una piadina (di cui vi abbiamo parlato approfonditamente in questo articolo), che si prepara con acqua, farina e sale. Nel tempo e a seconda della geografia si sono aggiunti all’impasto altri ingredienti (c’è chi mette lo strutto, chi il lievito di birra, chi il latte), anche dovuti alla necessità di conservarle più a lungo e al metodo di cottura non più tradizionale. Metodo che non solo caratterizza questa focaccina sin dai suoi albori, ma che ha anche dato vita ad un piccolo qui-pro-quo che riguarda la terminologia.

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Tigelle o crescentine? Un inghippo linguistico

C’è infatti un po’ di ‘confusione linguistica’ per quanto riguarda il mondo delle tigelle. La ‘tigella’ è infatti il nome dello strumento che si utilizzava tradizionalmente per preparare questo panificato. Si tratta di un piatto, un disco di terracotta, spesso decorato da un’incisione floreale o addirittura dallo stemma familiare, su cui veniva posta una foglia di castagno o di noce, che aromatizzava e fungeva da antiaderente. Si metteva su questo disco – già arroventato - l’impasto crudo, e si sovrapponeva un'altra tigella con impasto, fino a comporre una pila che si metteva a cuocere nel caminetto, cambiando di tanto in tanto l’ordine degli strati per garantire una cottura uniforme.

tigelle ripiede di prosciutto

Dunque, per essere chiari la crescentina si cuoce nella tigella, ma nel tempo il nome dell’utensile si è sovrapposto a quello dell’alimento. Dal punto di vista geografico possiamo dire che nel modenese si preferisce dire crescentina, mentre nel bolognese è più usato il termine tigella. A complicare la faccenda, il fatto che a Bologna la crescentina sia un altro tipo di alimento, uno strettissimo parente dello gnocco fritto. Insomma, a seconda di dove ci si trova in Emilia occorre sapere come chiamare questa focaccina per non rischiare di ritrovarsi servito un altro piatto.

In ogni caso, le tigelle o crescentine vengono mangiate calde, solitamente ripiene di salumi e formaggi che ben si sposano con il sapore neutro dell’impasto. In particolare è tradizione imbottirle con la cosiddetta ‘cunza’, un pesto realizzato con battuto di lardo, aglio, rosmarino e Parmigiano Reggiano grattugiato. Ottimi anche gli abbinamenti con formaggi molli, come lo Squaquerone, o con la selvaggina e i sughi di cacciagione. Non mancano gli accostamenti ai sapori dolci, magari con creme di cioccolato spalmabili o confetture.

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La tigelliera moderna

Oggigiorno è raro avere un camino a disposizione per cuocere le crescentine sulle tigelle come da tradizione (anche se l’occasione è splendidamente conviviale), e in molti preferiscono cuocere le focaccine su uno strumento chiamato tigelliera, uno stampo in alluminio che messo a contatto con il fuoco diventa rovente, ed è modellato con la forma di quattro o sette crescentine.

tigelliera

Eccone alcuni modelli:

Tigelliera in alluminio a quattro posti con manico in legno, a questo link.

Per fare le cose in grande, qui trovate una tigelliera in alluminio a sette posti.

Anche qui potete acquistare una tigelliera in alluminio a sette posti, ognuno dei quali decorato con incisione a fiore, per imprimere alle crescentine un disegno decorativo come da tradizione.

Questo strumento è invece utile per tagliare dall’impasto delle perfette focaccine circolari.

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