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Villarotta di Luzzara, dove il legno si trasforma in cappelli

L'arte di realizzare cappelli con trecce di trucioli di legno è raccontata in un originale museo

cappelli paglia legno
©davelogan/iStock
Cappelli intrecciati
L'intreccio delle fibre vegetali ha caratterizzato per secoli l'economia di numerose famiglie dell'area mediterranea sino a diventare, in alcune zone, molto più di un'attività familiare a cui dedicarsi per arrotondare le entrate. In molte regioni d'Italia, e non solo, questa arte antica si è trasformata in una vera e propria attività professionale che ha garantito a numerosi artigiani e ad intere comunità un fiorente sviluppo economico ed una elevata rinomanza che dura ancora ai giorni nostri. Ci sono zone in cui le fibre vegetali diventavano cesti, contenitori ed utensili di uso quotidiano e ci sono zone in cui, invece, si trasformano in eleganti cappelli conosciuti in tutto il mondo. Se a Montappone, nelle Marche, si producono da secoli copricapi in paglia indossati da personaggi illustri di ogni angolo del pianeta, in Emilia Romagna, sulle rive del Po ed in particolare a Villarotta di Luzzara (RE), per secoli si è diffusa l'usanza di realizzare i cappelli utilizzando come materia prima il legno. Si tratta di una tradizione antica che consiste nel ridurre il legno di alcuni tipi di albero in trucioli che vengono, poi, intrecciati formando delle trecce che, una volta ricucite, si trasformano in bei cappelli. E' una lavorazione estremamente particolare la cui memoria è, oggi, custodita all'interno di un museo, l'unico in Italia settentrionale nel suo genere.

Vuoi saperne di più sull'arte dell'intreccio in tutti i Paesi dell'area Mediterranea? Visita il Museo dell'Intreccio Mediterraneo a Castelsardo (SS). Ve ne abbiamo parlato qui

L'arte dell'intreccio
 
L'arte di lavorare i trucioli e la sua storia
L'idea di utilizzare i trucioli di legno per creare delle trecce con cui realizzare cappelli è antica e risale al periodo a cavallo tra il XV e il XVI secolo, quando Nicolò Biondo, un carpigiano al servizio dei frati di un convento di Carpi, rimuovendo la scorza da un ramo di salice e tagliandolo in strisce sottili con una roncola, si rese conto che il materiale ottenuto aveva una consistenza che ne consentiva l'intreccio, come si faceva con gli steli dei cereali utilizzati in diverse zone d'Italia per produrre cappelli. I Frati considerarono la trovata particolarmente ingegnosa ed intrapresero la produzione di queste strisce sottili da intrecciare e coinvolsero le orfanelle ospitate nel convento nella realizzazione delle trecce e, poi, dei cappelli. Nonostante non fossero propriamente dei cappelli di paglia, la loro leggerezza e l'effetto finale erano, però, talmente simili a quelli della vera paglia che anche questi cappelli, fatti con il legno, vennero comunque definiti "cappelli di paglia". A partire dal XVII secolo alcuni frati si trasferirono a Villarotta fondando un nuovo convento di cappuccini e decisero di portare avanti l'attività di produzione di trucioli e cappelli incaricando le giovani ospiti e le abitanti del villaggio dell'intreccio e della cucitura dei copricapo in cambio di una piccola retribuzione. Fu così che la località legò il proprio nome alla lavorazione ed alla produzione delle trecce di legno e dei cappelli, al punto che su alcune carte settecentesche del territorio era riportata la dicitura "Villa dei Cappelli" in corrispondenza di Villarotta.

Leggi qui per saperne di più sui famosi cappelli marchigiani di Montappone e sui personaggi illustri che li hanno indossati


Cappello di paglia
 
In breve tempo la produzione si estese anche a Luzzara ed alcune località limitrofe sfruttando le risorse offerte dai boschi e le selve che incorniciavano le sponde del Po. Esperti selezionatori individuavano le piante idonee alla produzione dei trucioli e, successivamente, si procedeva al taglio che veniva praticato da 30 cm alla radice utilizzando la pianta fino ai tre metri del suo tronco. Venivano tralasciati i rami della chioma, che venivano impiegati come legname da ardere, e la parte superiore del tronco perchè troppo nodosa per poter essere lavorata. I tronchi venivano, quindi, caricati su carri e trasportati sino alle case-laboratorio dove si procedeva al taglio di misura (46 cm circa) e alla scorzatura, vale a dire la rimozione della corteccia (scorza), ed alla levigatura del pezzo di legno (scavess) sul tornio. A partire dal XIX secolo i salici della zona non furono più sufficienti a soddisfare la richiesta e si dovette cercare una valida alternativa che garantisse una resa equivalente. Fu così che si optò per i pioppi, in particolare quelli di origine canadese, che crescevano abbondanti sulle rive del Po, – vicino, quindi, alla zona di lavorazione – avevano i rami più grandi di quelli del salice e presentavano un tronco liscio e poco nodoso sino ad una certa altezza.

Tra i pionieri che resero Villarotta un'eccellenza nella produzione delle trecce di trucioli e cappelli si affermò Pietro Terzi che arrivò ad aprire una grande fabbrica in cui erano impiegate 100 persone, e ad esportare i suoi prodotti praticamente ovunque. Nel frattempo alcuni inventori riuscirono a mettere a punto tecniche di produzione innovative basate sull'utilizzo di nuovi macchinari. Giovanni Bellodi, di Mirandola, ad esempio, mise a punto delle macchine a vapore, non alimentate, quindi, a mano o a pedale come era stato fatto sino ad allora, che velocizzavano e snellivano i processi di produzione ed alleggerivano la fatica dei lavoratori; il luzzarese Boschi favorì l'introduzione di macchinari destinati alla rifilatura dei trucioli; e il sacerdote parmigiano don Carlo Platestainer, giunto a Luzzara, realizzò un telaio con il quale si potevano intessere le trecce con trame diverse dal solito per poter cucire cappelli più originali ed elaborati. A Villarotta vennero recepite le innovazioni che contribuirono a rendere la località un importante centro di produzione. Donne e uomini cominciarono a lavorare nelle fabbriche potendo, quindi, migliorare le proprie condizioni economiche. In molte case, inoltre, vennero aperti laboratori in cui, con l'ausilio dei macchinari, venivano soddisfatte le nuove richieste del mercato.

Cappello intrecciato
 
Dal legno al cappello: come lavoravano gli artigiani di Villarotta

Per trasformare i tronchi di un albero in cappello venivano utilizzate trecce composte da circa 700 trucioli dalle quali si ricavavano circa 4 o 5 copricapi realizzati in serie. Nel secondo dopoguerra la produzione raggiunse proporzioni copiose, favorite anche dai costi contenuti di realizzazione e, dunque, dall'elevato profitto che si ricavava dalla vendita dei cappelli. Fino ai primissimi anni del 2000 erano davvero numerosi gli artigiani che si dedicavano a questa attività per svolgere la quale incaricavano i partitanti di distribuire in auto i mazzi di paioli in giro per le campagne per poi ripassare a ritirare le trecce finite. Per fronteggiare le numerose richieste, spesso gli artigiani si trovavano a lavorare anche di domenica.

L'attività proseguì fino agli inizi del nuovo millennio quando, nel 2004, chiuse la fabbrica Fratelli Ruina che diede anche il proprio contributo all'allestimento del nuovo museo donando parte delle proprie attrezzature per la realizzazione dell'esposizione. Grazie all'impegno di un'Associazione culturale locale che, da 25 anni, si occupa di promuovere e salvaguardare le usanze e le tradizioni di Villarotta di Luzzara attraverso l'organizzazione di manifestazioni, mostre ed attività all'interno delle scuole e delle Case Protette, è stato possibile ristrutturare una Chiavica quattrocentesca posta sul Cavo Tagliata ed allestire, al suo interno, l'interessante Museo del Truciolo che custodisce numerose testimonianze dell'antica attività di produzione e realizzazione dei trucioli di legno, delle trecce e dei cappelli. Durante la visita si potranno ammirare gli strumenti utilizzati dagli artigiani e nelle fabbriche locali, tra cui una rifilatrice in legno del ‘700 donata da Angelo Leidi, dei Vergari, borgata nei pressi di Casoni, e tre macchine per la rifilatura dei tronchi di pioppo, concesse dai fratelli Nullo e Bruno Ruina di Villarotta, e si potrà riscoprire la storia e l'evoluzione di questa antica arte oggi abbandonata ma mai dimenticata.

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