La tigella o crescentina è una sorta di focaccina piccola e tonda, più spessa e soffice di una piadina (di cui vi abbiamo parlato approfonditamente in questo articolo), che si prepara con acqua, farina e sale. Nel tempo e a seconda della geografia si sono aggiunti all’impasto altri ingredienti (c’è chi mette lo strutto, chi il lievito di birra, chi il latte), anche dovuti alla necessità di conservarle più a lungo e al metodo di cottura non più tradizionale. Metodo che non solo caratterizza questa focaccina sin dai suoi albori, ma che ha anche dato vita ad un piccolo qui-pro-quo che riguarda la terminologia.
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Tigelle o crescentine? Un inghippo linguistico
C’è infatti un po’ di ‘confusione linguistica’ per quanto riguarda il mondo delle tigelle. La ‘tigella’ è infatti il nome dello strumento che si utilizzava tradizionalmente per preparare questo panificato. Si tratta di un piatto, un disco di terracotta, spesso decorato da un’incisione floreale o addirittura dallo stemma familiare, su cui veniva posta una foglia di castagno o di noce, che aromatizzava e fungeva da antiaderente. Si metteva su questo disco – già arroventato - l’impasto crudo, e si sovrapponeva un'altra tigella con impasto, fino a comporre una pila che si metteva a cuocere nel caminetto, cambiando di tanto in tanto l’ordine degli strati per garantire una cottura uniforme.
![tigelle ripiede di prosciutto](fileadmin/mediafiles/turismo/articoli/202009/images/670x400/iStock-1050012968.jpg?n=0.4003352318732518)
Dunque, per essere chiari la crescentina si cuoce nella tigella, ma nel tempo il nome dell’utensile si è sovrapposto a quello dell’alimento. Dal punto di vista geografico possiamo dire che nel modenese si preferisce dire crescentina, mentre nel bolognese è più usato il termine tigella. A complicare la faccenda, il fatto che a Bologna la crescentina sia un altro tipo di alimento, uno strettissimo parente dello gnocco fritto. Insomma, a seconda di dove ci si trova in Emilia occorre sapere come chiamare questa focaccina per non rischiare di ritrovarsi servito un altro piatto.
In ogni caso, le tigelle o crescentine vengono mangiate calde, solitamente ripiene di salumi e formaggi che ben si sposano con il sapore neutro dell’impasto. In particolare è tradizione imbottirle con la cosiddetta ‘cunza’, un pesto realizzato con battuto di lardo, aglio, rosmarino e Parmigiano Reggiano grattugiato. Ottimi anche gli abbinamenti con formaggi molli, come lo Squaquerone, o con la selvaggina e i sughi di cacciagione. Non mancano gli accostamenti ai sapori dolci, magari con creme di cioccolato spalmabili o confetture.
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La tigelliera moderna
Oggigiorno è raro avere un camino a disposizione per cuocere le crescentine sulle tigelle come da tradizione (anche se l’occasione è splendidamente conviviale), e in molti preferiscono cuocere le focaccine su uno strumento chiamato tigelliera, uno stampo in alluminio che messo a contatto con il fuoco diventa rovente, ed è modellato con la forma di quattro o sette crescentine.
![tigelliera](fileadmin/mediafiles/turismo/articoli/202009/images/710x491/iStock-490914924.jpg?n=0.12963917234197242)
Eccone alcuni modelli:
Tigelliera in alluminio a quattro posti con manico in legno, a questo link.
Per fare le cose in grande, qui trovate una tigelliera in alluminio a sette posti.
Anche qui potete acquistare una tigelliera in alluminio a sette posti, ognuno dei quali decorato con incisione a fiore, per imprimere alle crescentine un disegno decorativo come da tradizione.
Questo strumento è invece utile per tagliare dall’impasto delle perfette focaccine circolari.
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