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La fonderia e la sua attività (©fabeook.com/FonderiaNapoleonicaEugenia)
Un po' di storia e di curiosità
Il nome con cui lo stabilimento era noto è legato alle vicende storiche che hanno portato alla sua fondazione nel 1806, quando l'esercito napoleonico requisì gli edifici di Santa Maria alla Fontana e dispose che alcuni dei locali conventuali fossero adibiti a fonderia di bronzo. La gestione del nuovo stabilimento venne venne affidata ai fratelli Manfredini, abili orafi e fonditori, che vennero appositamente richiamati da Parigi per ricoprire l'incarico. In onore del vicerè Eugenio di Beauharnais la fonderia venne chiamata Eugenia ed al suo interno i fratelli cominciarono a produrre piccoli oggetti, tra cui decorazioni destinate al mobilio, pendole, calamai, e fusioni di arredo, assieme ad elaborate opere di grandi dimensioni come la fusione della sestiga dello scultore Abbondio Sangiorgio che nel 1835 venne collocata sull’Arco della Pace in Piazza Sempione. Fu nel 1868 che la famiglia Barigozzi, già attiva con altre officine in diverse località in nord Italia e nel Canton Ticino, rilevò la fonderia che le consentì di aprire un'officina stabile anche a Milano dove, dal 1851, produceva campane servendosi dello stabilimento "alla Fontana". Nella nuova fonderia venne realizzato un grande forno a riverbero utilizzato per la realizzazione in una sola fusione di interi complessi di campane, chiamati “concerti”, tipici della tradizione ambrosiana. A partire dalla seconda metà del XIX secolo l'attività della fonderia conobbe un periodo di grande sviluppo che portò l'azienda a produrre campane per varie regioni italiane, per il Canton Ticino e persino per le comnunità italiane di diversi Paesi del Sud America, di Malta e delle colonie di Libia e Somalia. Al termine della seconda guerra mondiale, durante la quale le campane erano state requisite al fine di riutilizzare lo stagno ed il rame che costituivano il bronzo per la produzione di materiale bellico, l'azienda riprese la propria attività e produsse diverse campane destinate alle missioni religiose nel mondo, per poi assistere, però, ad un progressivo calo delle richieste a partire dagli anni '60.
Sebbene la lavorazione delle campane rappresentasse il fiore all'occhiello dell'attività gestita dalla famiglia Barigozzi, la fonderia, nel corso del tempo, mise la sua firma anche su numerose opere artistiche di particolare rilevanza. La collaborazione con lo scultore Francesco Barzaghi le valse, ad esempio, l'incarico di occuparsi della fusione dei monumenti ad Alessandro Manzoni e a Luciano Manara, collocati rispettivamente in piazza San Fedele e nei Giardini Pubblici a Milano. Mentre nel 1896 venne portata a termine la complessa fusione della statua equestre per il monumento a Vittorio Emanuele II dello scultore Ercole Rosa che campeggia in piazza Duomo. I battenti del portone centrale del Duomo stesso, disegnati da Ludovico Pogliaghi, sono opera della fonderia, così come la statua di San Carlo Borromeo davanti al santuario di Rho e tantissime altre sculture nate dalle collaborazioni con artisti illustri. Dopo oltre un secolo di gloriosa attività, nel 1975 la fonderia della famiglia Barigozzi chiuse i battenti, non prima, però, di aver lasciato segni indelebili tanto nel patrimonio artistico di Milano, quanto in quello di numerose altre località italiane e non solo. Oggi la fonderia è ancora un luogo di storia e di cultura ed ospita, nel corso dell'anno, numerosi eventi, concerti, mostre e manifestazioni culturali. Per saperne di più su iniziative e modalità di visita: fonderianapoleonica.it
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Alla scoperta del Museo della Ditta Fratelli Barigozzi
Con una storia così ricca di fascino sarebbe stato un vero peccato se, dopo la cessazione dell'attività, la memoria di questa eccellenza del Made in Italy fosse andata perduta. Ed è una fortuna che non sia successo. O meglio, è stato un merito di cui, ancora una volta, la famiglia si è fregiata. Grazie ad una pregevole opera di restauro, infatti, gli antichi ambienti di lavoro sono stati trasformati in un museo che raccoglie numerose testimonianze legate alla storia ed all'attività della Fonderia Napoleonica Eugenia. Il percorso di visita si articola su due piani e comprende anche la fossa di fusione, ancora visibile in fondo al primo salone, e, al secondo piano, il forno maggiore con le pareti in bronzo e in legno. Nel museo è, inoltre, custodito il fondo fotografico della Ditta F.lli Barigozzi, sottoposto recentemente a riorganizzazione e catalogazione, che comprende oltre 1.500 reperti fotografici tra positivi e negativi, in alcuni casi attribuibili a prestigiosi fotografi, che mostrano immagini degli ambienti di lavoro, delle diverse fasi di lavorazione, dei prodotti finiti e delle celebrazioni che accompagnavano i momenti del trasporto e dell'installazione delle campane, tutte risalenti al periodo a cavallo tra la fine del XIX secolo e gli anni 'sessanta del XX secolo. Al fondo fotografico si affianca un ricco archivio cartaceo che conserva libri mastri, copialettere delle fatture, diari di fonderia e memorie con l'aiuto dei quali è possibile ricostruire i rapporti della ditta con i propri committenti, con gli artisiti, e con le altre fonderie. Nella foto sottostante si può osservare l'estratto di un documento pubblicitario custodito nell'archivio.
Esplorando gli ambienti di lavoro sapientemente restaurati nel rispetto del loro aspetto originario, con travi a vista sul soffitto e pavimenti in cotto, si potranno, inoltre, ammirare le strutture degli antichi forni in muratura e le attrezzature originali utilizzate per l’attività fusoria e di lavorazione delle campane, tra cui le sagome in legno con le quali venivano realizzate le forme delle campane, i grandi compassi in legno impiegati per tracciare le sagome, i calibri regolabili che servivano per il controllo della circolarità della forma e altri antichi strumenti di misurazione tra cui una riga in ghisa e una pesa di precisione per il calcolo dei pani di metallo da fondere. Ma non è finita perchè la memoria del complesso processo di produzione delle campane sopravvive anche attraverso la ricca collezione custodita nella gipsoteca del museo che mostra un’ampia raccolta di formelle, in gesso e in terracotta, raffiguranti oranti e figure sacre utilizzati per la decorazione delle campane che rimandano alla complessa iconografia sacra. Oltre all'iscrizione che ricordava il donatore e la comunità che l’aveva commissionata, infatti, le campane riportavano anche un’iscrizione dedicatoria e un apparato figurativo costituito generalmente dall’immagine del Crocifisso affiancato dalla rappresentazione dei santi a cui la comunità di destinazione era devota.
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Santa Maria alla Fontana e la sua acqua miracolosa
La storia della fonderia è, però, strettamente legata a quella di un altro sito del capoluogo meneghino: il santuario di Santa Maria alla Fontana, risalente al XVI secolo, al quale in origine appartenevano i locali dello stabilimento. La chiesa sorge sul luogo in cui sgorgava una fonte ritenuta miracolosa le cui acque, alle quali erano attribuite proprietà taumaturgiche, si dice avessero guarito anche il governatore di Milano Carlo II d'Ambroise. Fu lui, infatti, che dopo averne sperimentato i benefici, volle che proprio lì venisse edificato l'istituto dove potevano essere portati ”li richi che forse de ogni negritudine vorano essere curati”. Sin da subito Santa Maria alla Fontana divenne uno dei principali centri della sanità milanese, assieme all’Ospedale Maggiore ed al Lazzaretto ed il santuario era, ogni giorno, meta di centinaia di pellegrini che vi giungevano per potersi bagnare con le sue acque. A lungo ci si è domandati chi fosse l'autore del progetto, attribuito ora a Leonardo Da Vinci, ora a Bramante piuttosto che a Cristoforo Solari. La diatriba cessò soltanto nel 1982 quando l'archivista Grazioso Sirono rinvenne e pubblicò un antico contratto nel quale era l'architetto Giovanni Antonio Amadeo a figurare come progettista ed esecutore. A partire dagli anni 'venti dello scorso secolo la chiesa subì numerose modifiche che ne cambiarono l'aspetto. Nell'ambito, infine, delle più recenti opere di restauro affidate all'architetto Ferdinando Reggiori tra il 1956 e 1961 per riparare i danni causati dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, è stata ripristinata anche l'antica fontana all'interno della chiesa. Oggi, però, dai suoi undici ugelli non sgorga più l'acqua della fonte miracolosa, ma della normale acqua di rubinetto proveniente dall'acquedotto del Comune di Milano. Per informazioni sul santuario: www.mariamadredellamisericordia.it
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