Era il 16 agosto del 1972 quando un chimico romano, Stefano Mariottini, si trova a Riace, in Calabria, a inseguire la sua passione: fare immersioni. Cercava scogli isolati dove poter fare pesca subacquea e ne trovò un gruppo quasi circolare con della sabbia al centro. E’ li, a circa 300 metri dal litorale e a quasi 10 metri di profondità, in un’acqua limpida e quasi trasparente, che la sua attenzione viene catturata da un qualcosa che non era un sasso qualunque, bensì una spalla. Una spalla di bronzo, appartenente ad una statua che, assieme ad un’altra ritrovata nelle immediate vicinanze, venne recuperata dalle acque cinque giorni dopo dai carabinieri sommozzatori del nucleo di Messina e che sarebbe stata protagonista di uno dei più straordinari ritrovamenti del XX secolo.
Leggi anche: Cosa hanno di speciale i tessuti della Calabria
Molto è stato detto e si continua a dire sui meravigliosi Bronzi di Riace, databili intorno al V secolo a C., veri e propri capolavori sculture dell’arte greca. C’è chi sostiene che le statue fossero ben più di due, almeno sette come i Sette contro Tebe, uno dei quali rappresenterebbe Polinice, il figlio di Edipo che non venne sepolto perché traditore della patria. C’è chi accusa che qualche statua sia stata trafugata e finita in qualche collezione privata. E chi, ancora, reputa che lo spostamento delle sculture dal fondo marino non sia stata altro che un'azione di profanazione di un sito che, nella credenza popolare, era dedicato ai Santi medici anargiri Cosma e Damiano, per i quali a Riace esiste una venerazione molto profonda. Fatto sta che sono da tempo un simbolo della Calabria e un’icona italiana: i due guerrieri alti quasi due metri sono stati ribattezzati A e B dagli esperti, il Giovane e l’Adulto dai più poetici.
Il primo colpisce per i suoi ricci perfettamente definiti, le ciglia, i denti che emergono tra labbra appena dischiuse, gli occhi. Il secondo è quello che ha attratto maggiormente gli esperti di statuaria antica con il movimento del busto più plastico e morbido, opera certamente di un artista superiore. Non in molti sanno che un’ipotesi avvalorata dagli studiosi afferma che i Bronzi avessero labbra rosso fuoco. Oltre che denti scintillanti, occhi vivaci e carnagione abbronzata. Il luogo comune le vuole statue monocromatiche e invece l’analisi chimica ha rilevato tracce di trattamenti allo zolfo che venivano usati per modificare il colore del materiale originario, su cui si inserivano anche inserti decorativi o bitume come legante. Ancora oggi, conservati al Museo Nazionale di Reggio Calabria, rappresentano una delle opere scultoree più apprezzate del mondo.