È dal 1989 che Philippe Le Guay lavora come regista e sceneggiatore dei suoi film, ma forse il pubblico italiano potrà ricordare principalmente il Molière in bicicletta del 2013, film dopo il quale non avevamo avuto il piacere di vedere nient'altro di suo. Fino a oggi. Fino al Florida che ci permette di approfittare del viaggio dei suoi protagonisti per immaginarci su strade incerte ma affascinanti. Quelle che percorrono Jean Rochefort e Sandrine Kiberlain in un leggero e insieme dolente avvicinarsi alla meta. Come spesso accade, diversa da quelle prevista o sognata.
La spinta inziale, infatti, è quella di un viaggio nella lontana Florida, che dà il nome al film. Nello Stato americano vive la figlia minore dell'anziano Claude, poco presente (se si esclude una cartolina ogni sei mesi) a differenza della maggiore che va a trovare il padre quattro volte a settimana e si occupa di tutto ciò che lo riguarda. E che lo asseconda nell'attraversamento dell'Alta Savoia, location principale del racconto del tentativo di raggiungere di questo luogo fantastico, ormai divenuto 'irreale', che finisce per coincidere con una zona di oblio alla quale non resta che rassegnarsi, come all'Alzheimer che avanza...
Un 'Sogno Americano' - e cinefilo - che come spesso accade si realizza in prossimità dei luoghi nei quali si è vissuto, come conferma lo stsso Le Guay: "La Florida diventa questo luogo mitico dove sentirsi protetti, dove nulla può colpirci. Un luogo di pace nel quale tutto ciò che ci ha danneggiati durante la vita cessa di farci male. In fondo, anche un po' la stessa sala cinematografica, dove si può sognare e dove i tuoi cari sono sempre con te".
Con buona pace della Florida idealizzata, però, è un piacere rivedere i veri paesaggi della regione del Rodano-Alpi (visitata per Marie Heurtin) e tuffarci in ambienti molto più vicini a quelli svizzeri e trentini di cui parlammo per i film di Paolo Sorrentino o di Stefano Lodovichi. Il lago tra le montagne dove la cinquantenne Carole stupisce lo stesso padre, seduto tra gli alberi e perso nelle sue fantasie, è infatti quello di Annecy, nell'Alta Savoia francese (il secondo, per superficie, dopo il lago del Bourget) noto per essere "il più pulito d'Europa", a causa di severe leggi ambientali locali.
Ma la regione di confine, con cui condividiamo l'amato Monte Bianco, è stata ampiamente coinvolta nelle riprese del film, come hanno scoperto i tanti costretti alla deviazione dalle interruzioni tra il Col de Bluffy e Alex, nel Cantone Faverges (per fortuna nella sola mattinata di lunedi 29 settembre). Set spesso brevi, e passeggeri. Come l'anima del racconto necessitava. Ma che nell'autunno 2014 - tra il 16 settembre e il 24 ottobre - hanno colorato le giornate dei savoiardi, oggi pronti ad accogliere quanti volessero ripetere quell'esperienza e approfittare delle splendide ville della zona, come quella in cui vive il nostro protagonista.
"Il viaggio è stato la linea guida, sulla cui traiettoria si muove il film. Niente è più cinematografico, evidentemente, di un personaggio che viaggia da una direzione all'altra", confessava il regista nelle note di produzione, specificando ulteriormente che il viaggio in questione non aveva "nulla di fantasioso, o onirico, anche se lo svolgimento del racconto si rivela, diciamo, come un processo mentale". Che nasce dalla pièce teatrale Le Père del 2012 di Florian Zeller e che - di flashback in colpo di scena - ha preso corpo tra i palazzi storici di Annecy, le sue chiese (St. Maurice e St. Pierre su tutte), Rue Ste. Claire e La basilique de la Visitation e ovviamente la succitata spiaggia di Talloires (nella quale sono state utilizzate molte comparse locali, nelle previste scene del ristorante a bordo lago, del matrimonio e generici vari).