Chi non si è mai fatto tentare, almeno una volta nella vita, dal gesto di scartare un Bacio Perugina e di finire, prima ancora che sulla dolce fragranza del cioccolato, sulle languide lettere del codice amoroso racchiuso nella carta velina più romantica d’Italia? Piccoli dettagli di una ritualità che ha fatto grande la storia dell’arte cioccolatiera italiana. Che di stile ne ha da vendere, eccome. Dal Piemonte alla Sicilia, ecco alcune tappe del gusto che vale la pena percorrere.
FOTO: LE FORME PIU' STRANE E FAMOSE DEL CIOCCOLATO
Novi Ligure, Bra e Sassello sono la congiunzione di un trigono che ha nelle prodezze artigianali dell’ex “Fabbrica Italiana di Confetture, Cioccolato e Affini” il suo leit motive. Attualmente parte del gruppo Elah Dufour Novi, l’azienda fondata nel 1903 come cooperativa di grossisti e dettaglianti dell’industria dolciaria, difende la territorialità di un prodotto che è alla base delle prelibatezze prodotte: la nocciola Piemonte IGP. La stessa che circola tra i 20mila metri quadrati della fabbrica di Paul Caffarel a Luserna San Giovanni, nell’alta Val Pellice. In questo piccolo comune dove le lucciole brillano durante le notti d’estate (da cui, la leggenda vuole, il nome di Luserna), si trova la “fabbrica” di Caffarel la cui fama è legata all’ideazione del cioccolato gianduia nel 1852 e al lancio commerciale del gianduiotto nel 1865 ad opera di Paul Caffarel e Michel Prochet. Lo stabilimento ospita anche un museo con esposti rari macchinari d’epoca ed è visitabile prenotando sul sito di Turismo Torino.
“Mai la natura ha racchiuso un nutrimento di così alto valore in uno spazio piccolo come quello del seme di cacao" Alexander von Humboldt (1769-1859) Ce lo ricorda Lindt, altro nome storico legato al "cioccolato che si scioglie in bocca" che ha la sua sede aziendale in quel di Varese e che tra i suoi prodotti più apprezzati vanta il Lindor, la ricetta più "scioglievole" di tutte. Anche in questo caso, il gusto diventa occasione per compiere un piccolo gesto di ritualità sensoriale: quando il guscio si rompe, recitano i messaggi promozionali dei Maîtres Chocolatiers di Lindt, il morbido ripieno inizia a sciogliersi in bocca. E di strada nel ha fatta anche il cioccolato Lindor, commercializzato dapprima sotto forma di tavoletta e solo nel 1967 comparso sul mercato sotto forma di boule come edizione speciale in occasione del Natale. Solo l'inizio di un successo che ha portato a lasciare immutata la ricetta che, da oltre 60 anni ormai, viene venduta e distibuita in più di 100 paesi nel mondo.
Dall’inconfondibile forma a barchetta del gianduiotto al “cioccolatino immangiabile”, ultima trovata di Venchi, altro nome forte della tradizione cioccolatiera piemontese. Se il “cioccolatino da cucina” in quadretti monodose a base di burro di cacao, non si mangia ma si usa per cucinare, praline e tavolette che contraddistinguono l’offerta di Venchi dal 1878 sono vere ricercatezze per il palato. Con un volo pindarico nelle geografie del Belpaese, facciamo tappa a Pontedera, cittadina toscana dall’imprinting artistico (grandi sculture permanenti di artisti contemporanei costellano le strade e le piazze) dove ci ha messo lo zampino anche l’estro dolciario di due fratelli, Alessio e Cecilia Tessieri (prima donna, tra l’altro, a ricoprire nel mondo il ruolo di maître chocolatier), fondatori nel 1990 della Amedei. Grandi viaggiatori a loro volta, “gli Amedei” sfidano le frontiere del gusto approdando all’esotismo di paesi come Venezuela, Ecuador e Madagascar. Fiore all’occhiello? La tavoletta Chuao prodotta con fave di criollo provenienti dall’omonima penisola venezuelana, dal piacevole retrogusto di frutti rossi. Tutte le fasi di lavorazione si svolgono nel laboratorio di Pontedera in via San Gervasio 29: dalla torrefazione delle fave di cacao fino al concaggio del cioccolato protratto per 72 ore.
Scendendo verso Sud, la ridente terra millenaria del Salento ci accoglie con i colori non solo delle case dagli arabeschi greci e spagnoli, dei nobili palazzi e delle orchidee, ma anche dei cioccolatini Maglio che cambiano veste come nelle collezioni di alta moda. Grazie alla licenza ottenuta nel 1875 dalla famiglia Maglio per aprire un “decente caffè” oggi si può ben dire che il gusto dolce del Salento ha la sua anima riconosciuta a Maglie, il paese in provincia di Lecce dove oggi ha sede l’azienda dei Maglio, nativi di Ariano di Puglia. Qui potete venire rapiti, al pari di Paul McCartney che ne è grande estimatore, da un “limoncello” che non si beve ma si morde o dalla “Galatina” (tra i prodotti di lusso), creata con una ricetta che resta gelosamente custodita e tramandata di generazione in generazione, composta da due gusti di crema di mandorla su uno strato di pan di Spagna fra loro uniti da un velo di perata (marmellata di pere a pezzetti), il tutto avvolto da cioccolato extra bitter. Il cuore di Maglie è la centrale piazza Aldo Moro e proprio adiacenti ad essa sono i locali della ghiotta fabbrica resi ancora più belli da una significativa opera di restauro che dal 2003 ha interessato anche la stessa piazza, grazie proprio all’interesse dei Maglio.
Scendendo ancora più a Sud, è il suono onomatopeico della “mpanatigghia” che bisogna tenere bene a mente, prima che il palato prenda confidenza con il cioccolato lavorato a freddo con la “Pasta amara” di Modica. In questa perla del barocco siciliano tutelata dall’Unesco come patrimonio mondiale dell’umanità, l’arte del “cioccolato a forma rettangolare” è ormai tutelata persino da un Consorzio al quale aderiscono ben 17 realtà produttive. Ma cos’è la “mpanatigghia”? Presto detto: un panzarotto, a forma di semiluna, ripieno di carne tritata, un tempo esclusivamente di selvaggina, mandorle tostate, cioccolata, canditi, cannella e noce moscata. Per fare un salto indietro nel tempo, quando a Modica esisteva la bellissima figura dello “ciucculattaru”, non si può perdere la visita alla Antica Dolceria Bonajuto in Corso Umberto I, la più antica fabbrica di cioccolato in Sicilia, attiva dal 1880.