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Sumba, Indonesia e il western al femminile di Marlina

La protagonista, Omicida in quattro atti, ci rivela un mondo lontano troppo poco frequentato.

Lab 80 Film
Non capita spesso di arrivare fino all'estremo limite del continente asiatico, quasi al limite dell'Oceania, e d'altronde non è molto il cinema che arriva da Tailandia, Malesia …e soprattutto Indonesia. In questo caso, l'eccezione si chiama Marlina, omicida in quattro atti di Mouly Surya, che qualcuno ha già potuto vedere alla Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes del 2017. E che dal 18 gennaio arriva nelle sale italiane con una storia dura, ma "in grado di giocare con i codici espressivi e contenutistici allo stesso tempo", come spiega la stessa regista, che alla sua seconda prova si conferma capace - pur giovanissima - di "legare tradizioni cinematografiche diversissime attraverso uno sguardo colto, vivace e leggero".

La protagonista Marlina vive sull'Isola di Sumba, in Indonesia. Sta risparmiando per poter seppellire il marito secondo i riti tradizionali quando un uomo si presenta alla sua porta e, impassibile, la informa che lui e sei compagni sono venuti per prenderle tutti i soldi, il bestiame e infine per stuprarla. Mentre è costretta a preparare la cena ai suoi aggressori, Marlina medita la propria vendetta. Con lei intraprenderemo un coraggioso viaggio alla ricerca di giustizia, lungo il quale la vedremo continuare a combattere contro un mondo che sembra essere dominato soltanto dalla violenza.

Praticamente un western al femminile, come è facile intuire, ambientato molto lontano dalle sconfinate valli del SouthWest statunitense, nei vasti panorami dell’Indonesia rurale, principalmente dell'Isola Sumba, una delle sei Piccole Isole della Sonda dove si sono svolte le riprese del film. Non una Indonesia fittizia, quindi, come avevamo visto in Gold–La grande truffa. Né il tentativo di restituire un panorama lontano e suggestivo, come in Silence di Martin Scorsese, che però si era fermato tra Cina e Giappone. La stessa stampa locale ha accolto grata questa nuova occasione di raccontare storie del Paese, come altri film invisibili da noi: Susah Sinyal di Ernest Prakasa, Humba Dreams di Mira Lesmana e Riri Riza o l'Aisyah: Biarkan Kami Bersaudara di Herwin Novianto, in realtà realizzato nella stessa provincia del Nusa Tenggara Orientalea, nella parte centrale di Timon.

"Dopo esser stata a Sumba per la prima volta - raccontava la regista, originaria di Giakarta, - ho insistito che il film dovesse essere un western e ho terminato la prima bozza della sceneggiatura in un mese", a conferma di quanto la location sia stata determinante per il processo creativo. "Ho flirtato a lungo con l'idea - continua Surya, - sin da quando ho visto l'isola su Google Images. E alcuni degli elementi che ho trovato in Sumba combaciavano perfettamente con quello che mi serviva". Come la Marlina protagonista, per esempio, "con la sua immagine fatta di mistero, sensualità e ostinazione", ispiratale "dall'immagine delle donne che ho incontrato sull'isola". O meglio, di una donna: "Al giorno d'oggi abbiamo diverse figure di donne forti in Indonesia, sia in politica che nel mondo del lavoro, ma in luoghi come Sumba il posto della donna è ancora in cucina: da lì le donne devono entrare e uscire dalla casa. Eppure sull'isola ho conosciuto una donna, un'insegnante di nome Marlina, che si è difesa con tenacia dopo essere stata accusata di aver dato scandalo a causa di un video in cui ballava. In qualche modo mi è stata d'ispirazione".
 
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