Chi si trova a visitare Lucca ha l’imbarazzo della scelta per quel che riguarda le proposte artistiche e culturali: autentico scrigno di tesori dall’immensa ricchezza storico monumentale, la splendida località toscana viene anche detta la città dalle 100 chiese. Il principale luogo di culto cattolico cittadino è la Cattedrale di San Martino, chiesa madre dell’omonima arcidiocesi, la cui storia vanta origini antiche. Si erge nell’omonima piazza, in una zona secondaria della città, in contrasto con la sua importanza visto che anche altri edifici si addossano alla sua struttura. Visitando il Duomo si rimane sorpresi dall’architettura e dalla rilevante quantità di opere d’arte contenute al suo interno. Tra queste spicca la Tomba di Ilaria del Carretto, un sepolcro medioevale di marmo di Jacopo della Quercia, artista spesso trascurato dalla critica pur riconoscendone l’alto valore.
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All’epoca, l’opera fu realizzata tra il 1406 e il 1408, il sepolcro medievale era di due tipi: quello sotterraneo con la lastra a livello del pavimento, detto tomba terragna, e quello sollevato e contenuto entro complesse strutture architettoniche. Nel primo, il corpo era rappresentato giacente, rivestito delle armi se cavaliere, della veste talare se religioso, di abiti lussuosi se dama, quasi per ricordarne eternamente le fattezze cosi come erana apparse per l’ultima volta, quando era stato esposto, per l’ultimo saluto, disteso in terra, nella sala del castello o al centro della chiesa. Jacopo della Quercia rinnova la forma, in quanto rappresenta Ilaria giacente, ma sollevata da terra, sul sarcofago, come nelle tombe borgognone. Ad avvalorare l’ipotesi di una diversa disposizione c’è la differenza stilistica tra il sarcofago, squadrato e ornato con putti grevi, collegati da pesanti festoni come se fosse un fregio continuio, e la fluidità lineare con cui è condotto il corpo di Ilaria che è contenuto entro il rettangolo di appoggio dai compatti cuscini in alto, dal cagnolino simbolo di fedeltà in basso.
Il corpo è basato su tre ellissi di differente misura e coordinate tra loro: la testa incorniciata dal grande cercine, il panno che serviva per le acconciature dell’epoca, dai capelli, dall’alto colletto svasato; la linea ovale che scende dalle spalle lungo le braccia fino alle mani incrociate e l’altra linea ovale che, intersecando la precedente, parte dal punto della vita, rialzato fin sotto il seno, e giunge ai piedi. Le tre zone sono unificate dalla veste che si congiunge alla testa tramite il colletto e, con il mantello dai cui spacchi escono le braccia, scende continuativamente fino in fondo. Se si passa dall’una all’altra di queste ellissi si nota l’aumento progressivo di moto: il volto è liscio e disteso, la veste finemente pieghettata intorno alla cintura si organizza in strutture via via più ampie dall’alto verso il basso.
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La luce scorre unitaria e diffusa sul viso e crea chiaroscuri più lievi o più sentiti sul corpo, seguendo e facendo risaltare la continuità gotica delle linee con le ombre che si addensano nelle rientranze. Il ritratto è dolce ed elegante, con uno struggente contrasto tra la bellezza del soggetto e lo stato di morte: la nobildonna lucchese era la moglie di Paolo Guinigi che mori di parto molto giovane e per la quale il marito fece erigere questo splendido monumento funebre, considerato tra i migliori esempi di scultura funeraria italiana del XV secolo.
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