Non è una novità che l'Alto Adige sia una delle regioni italiane preferite dalle produzioni cinematografiche, sicuramente per gli incentivi offerti dalle locali Film Commission, ma di certo anche per i panorami che offre e dei quali hanno già usufruito nomi noti come Giuseppe Tornatore e meno noti, come l'Amir Naderi arrivato sul Latemar o i tanti film che oltre a toccare le imperdibili Trento, Bolzano, Bressanone ci hanno permesso di godere dello spettacolo dell'Altopiano del Renon e del lago alpino di Costalovara, come in un recente film di Christian De Sica. Stavolta è suo nipote, Andrea De Sica, a tornare al Nord, per il proprio esordio alla regia: il parzialmente autobiografico I figli della notte, presentato allo scorso Festival di Torino.
Al centro il diciassettenne di buona famiglia Giulio, catapultato nell'incubo della solitudine e della rigida disciplina di un collegio per rampolli dell'alta società, una sorta di "prigione dorata" isolata tra le Alpi, dove vengono formati i "dirigenti del futuro". Internet 'imbavagliato', telefono concesso per mezz'ora al giorno, ma quel che è peggio violenze e minacce dai ragazzi 'più anziani', nell'apparente accondiscendenza degli adulti, sono all'ordine del giorno e Giulio riesce a sopravvivere grazie all'amicizia con Edoardo, un altro ospite del collegio. I due ragazzi diventano inseparabili e iniziano ad architettare fughe notturne dalla scuola-prigione, verso un locale proibito nel cuore del bosco, dove conoscono la giovane prostituta Elena.
Un luogo di perdizione per il quale il regista ammette di aver pensato all'Overlook Hotel dello Shining di Stanley Kubrick, ma anche alla "casetta nel bosco" di Hansel & Gretel: "il linguaggio è quello della favola, - spiega. - Mi piaceva fosse affascinante ed empatico, non uno sguardo freddo e giudicante come ci si potrebbe aspettare dal contesto rigoroso del collegio". Ricostruito - nelle riprese svoltesi tra il 7 marzo e la meta di aprile del 2016, per cinque settimane - nel Grand Hotel Dobbiaco di Via Dolomiti 31, un'antica struttura in stile asburgico nei pressi della quale soggiornò lungamente Gustav Mahler e che entrò in servizio come albergo nel 1878, divenendo oggi uno dei più noti centri culturali dell'Alta Val Pusteria, non lontano dal confine con l'Austria.
Nella stessa location (e alla cooperativa sociale OASIS di Bolzano), d'altronde, si erano svolte nel novembre 2015 le selezioni per i giovani attori, costretti poi - insieme ai protagonisti Vincenzo Crea e Ludovico Succio - a viverci notte e giorno per due mesi. Ragazzi le cui vicende sono ispirate al vissuto in prima persona del regista, che rivelò alla stampa di essere partito "dai molti amici che sono stati in collegio, una cosa anacronistica negli anni 2000". "Incontri - che, nelle sue stesse parole - sono stati la spinta per provare a raccontare un universo giovanile che mi sembrava poco esplorato, almeno nel nostro paese: volevo raccontare un disagio che non è legato all'emarginazione sociale di qualsiasi natura, ma che non per questo è meno profondo o radicato oggi nella nostra società. La situazione estrema di un collegio per rampolli di ricche famiglie è stata la chiave che ho scelto per confrontarmi con uno dei sentimenti più forti che un adolescente possa sperimentare: l'abbandono. Il collegio è nel film l'incarnazione sotto forma di uno spazio fisico concreto delle difficoltà di relazione tra genitori e figli nel passaggio dall'infanzia all'età adulta". "Ho immaginato una favola nera, - conclude, - una storia di formazione o meglio di 'deformazione'. utilizzando le suggestioni dell'horror come genere che affronta aspetti della mente umana altrimenti intraducibili per immagini".
Al centro il diciassettenne di buona famiglia Giulio, catapultato nell'incubo della solitudine e della rigida disciplina di un collegio per rampolli dell'alta società, una sorta di "prigione dorata" isolata tra le Alpi, dove vengono formati i "dirigenti del futuro". Internet 'imbavagliato', telefono concesso per mezz'ora al giorno, ma quel che è peggio violenze e minacce dai ragazzi 'più anziani', nell'apparente accondiscendenza degli adulti, sono all'ordine del giorno e Giulio riesce a sopravvivere grazie all'amicizia con Edoardo, un altro ospite del collegio. I due ragazzi diventano inseparabili e iniziano ad architettare fughe notturne dalla scuola-prigione, verso un locale proibito nel cuore del bosco, dove conoscono la giovane prostituta Elena.
Un luogo di perdizione per il quale il regista ammette di aver pensato all'Overlook Hotel dello Shining di Stanley Kubrick, ma anche alla "casetta nel bosco" di Hansel & Gretel: "il linguaggio è quello della favola, - spiega. - Mi piaceva fosse affascinante ed empatico, non uno sguardo freddo e giudicante come ci si potrebbe aspettare dal contesto rigoroso del collegio". Ricostruito - nelle riprese svoltesi tra il 7 marzo e la meta di aprile del 2016, per cinque settimane - nel Grand Hotel Dobbiaco di Via Dolomiti 31, un'antica struttura in stile asburgico nei pressi della quale soggiornò lungamente Gustav Mahler e che entrò in servizio come albergo nel 1878, divenendo oggi uno dei più noti centri culturali dell'Alta Val Pusteria, non lontano dal confine con l'Austria.
Nella stessa location (e alla cooperativa sociale OASIS di Bolzano), d'altronde, si erano svolte nel novembre 2015 le selezioni per i giovani attori, costretti poi - insieme ai protagonisti Vincenzo Crea e Ludovico Succio - a viverci notte e giorno per due mesi. Ragazzi le cui vicende sono ispirate al vissuto in prima persona del regista, che rivelò alla stampa di essere partito "dai molti amici che sono stati in collegio, una cosa anacronistica negli anni 2000". "Incontri - che, nelle sue stesse parole - sono stati la spinta per provare a raccontare un universo giovanile che mi sembrava poco esplorato, almeno nel nostro paese: volevo raccontare un disagio che non è legato all'emarginazione sociale di qualsiasi natura, ma che non per questo è meno profondo o radicato oggi nella nostra società. La situazione estrema di un collegio per rampolli di ricche famiglie è stata la chiave che ho scelto per confrontarmi con uno dei sentimenti più forti che un adolescente possa sperimentare: l'abbandono. Il collegio è nel film l'incarnazione sotto forma di uno spazio fisico concreto delle difficoltà di relazione tra genitori e figli nel passaggio dall'infanzia all'età adulta". "Ho immaginato una favola nera, - conclude, - una storia di formazione o meglio di 'deformazione'. utilizzando le suggestioni dell'horror come genere che affronta aspetti della mente umana altrimenti intraducibili per immagini".