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Nove, Città della Ceramica da oltre 300 anni

La storia della cittadina veneta è legata a fil doppio con la manifattura ceramica

ceramiche di nove
Wikipedia/Pubblico Dominio
Ceramiche di Nove
C'è un motivo se Nove, in provincia di Vicenza, è conosciuta, non solo in Italia, come la “Città della Ceramica”. Sono, infatti, ben tre secoli che nella cittadina, non lontana da Bassano del Grappa, viene portata avanti una fiorente tradizione legata alla produzione di ceramiche. Sono numerosi i fattori che hanno influenzato, e motivato, lo sviluppo di questa attività proprio in questa zona del Veneto. Fattori che riguardano la storia, il territorio e l'economia locale che, intrecciandosi assieme, dimostrano come la città sia legata a fil doppio a questa arte antica. Tutto ebbe inizio nel XVIII secolo, quando la richiesta di ceramiche cinesi in Europa divenne talmente elevata da indurre i ceramisti olandesi ad imitarne lo stile e a diffondere le proprie creazioni in tutto il continente. La Repubblica della Serenissima non fece eccezione e, proprio per contrastare la crescente richiesta di prodotti esteri, studiò una politica basata sulle agevolazioni fiscali per dare impulso ad una produzione locale di oggetti in ceramica che avrebbe favorito il mercato interno limitando le importazioni e favorendo le esportazioni. A cogliere per primo questa occasione fu proprio un produttore di Nove, Giovanni Battista Antonibon, che ottenne dal consiglio dei “Savi della Mercanzia” della Repubblica Veneta la possibilità di dedicarsi per vent'anni alla produzione di maioliche di qualità senza pagare le tasse, sfruttando le risorse di un territorio particolarmente adatto allo svolgimento di questa attività.

Un territorio dalle mille risorse
La presenza della Roggia Isacchina, l'antico canale che attraversava il centro storico della cittadina, infatti, aveva favorito la nascita delle prime prestigiose manifatture novesi. I due mulini che sorgono sulle rive corso d'acqua erano stati realizzati proprio per la preparazione degli impasti ceramici. Il fiume Brenta, inoltre, che scorre poco ad est del centro abitato, veniva impiegato per il trasporto su zattere dei grandi tronchi destinati alle fabbriche della zona per alimentare i forni che dovevano rimanere in funzione per diversi giorni ad una temperatura compresa tra i 900 e i 1000° per le produzioni in maiolica, e di 1200° per quelle in porcellana. Proprio dal fiume, inoltre, provenivano i sassi che venivano calcinati e pestati per ottenere il carbonato di calcio, la silice ed il quarzo impiegati per realizzare gli impasti ceramici. L'Altopiano di Asiago forniva, invece, il gesso mentre dalle colline di Marostica e dai Tretti provenivano, rispettivamente, l'argilla ed il caolino, anch'essi fondamentali nel processo di produzione della ceramica ed, in particolare, della porcellana. Tutti i materiali necessari per la realizzazione della ceramica venivano lavorati nei mulini della zona costruiti proprio a tale scopo.

Leggi qui per scoprire altre città italiane in cui ammirare ceramiche d'artista dalla tradizione secolare.

Altopiano di Asiago
 
Una ceramica in continua evoluzione
In un contesto come questo non meraviglia che l'attività abbia conosciuto un lungo periodo di fortuna che dura ancora oggi. La nuova fabbrica aperta da Giovanni Battista Antonibon (ancora oggi in funzione sotto la gestione della famiglia Barettoni) cominciò la propria attività realizzando proprio delle maioliche con i tipici decori nello stile olandese “Blu Delft” ed alcune composizioni floreali a fiori recisi per le quali venivano impiegati pochi colori: verde, viola, manganese, blu e giallo. Dal 1760 venne, invece, intrapresa anche la produzione della porcellana. Dopo circa dieci anni, quando in Italia cominciò a diffondersi la cosiddetta terraglia – un impasto economico di discreta bianchezza nato alcuni decenni prima in Inghilterra dove aveva riscosso un particolare successo sia per il costo che per il colore – anche a Nove si intraprese la produzione del nuovo materiale con risultati molto simili a quelli inglesi. Fu proprio questo materiale a consentire ad alcune manifatture locali di sopravvivere alla crisi economica dell'inizio del XIX secolo. Rinunciando alle produzioni di lusso destinate alle famiglie nobili, ormai decadute, e concentrandosi su una clientela certamente meno facoltosa ma più vasta, i produttori novesi misero a punto nuove tecniche e nuovi soggetti che diedero il via alla produzione delle cosiddette “ceramiche popolari” caratterizzate da decorazioni più semplici realizzate con stampini in spugna e mascherine e raffiguranti soggetti legati alla tradizione religiosa, ai miti popolari, alle stagioni, ai mesi, ai lavori nei campi, ma anche soldati, damine e personaggi illustri, talvolta affiancati a scritte patriottiche e citazioni.
 
Eppure, soltanto pochi decenni prima, le ceramiche di Antonibon avevano conosciuto il periodo di massimo splendore riscuotendo un successo che consentì l'incremento delle esportazioni alla volta di paesi come la Germania, l'Austria e la Turchia, e l'apertura inizialmente di due punti vendita a Venezia e Bassano del Grappa e poi di altri nuovi negozi in diverse città italiane. Sotto la guida di Baccin, la manifattura realizzò anche un nuovo mulino per gli impasti ancora oggi esistente, e che fu l'ultimo esemplare in Europa nel suo genere. Dopo il 1860 le ceramiche di Nove continuarono a far parlare di sé affiancando alle produzioni classiche anche manufatti in un nuovo stile chiamato Artistico o Aulico o Neorococò che, probabilmente, nacque dal desiderio di confrontarsi con i produttori stranieri in occasione delle Esposizioni internazionali e che, con gli inizi del secolo successivo lasciò il posto al nuovo stile Novecento. La nascita, nello stesso periodo, di nuovi produttori con sede a Nove e nella vicina Bassano del Grappa contribuì a tenere alta la fama della manifattura novese anche nel corso del XX secolo, specialmente dopo le due Guerre, quando i lavori dei produttori di Nove giunsero sin negli Stati Uniti. Un apprezzamento che dura ancora ai giorni nostri, tanto da essersi guadagnata l'appellativo di “Città della Ceramica” e l'inserimento nell'omonima guida del Touring Club.

Manifatture Antonibon (©Sailko/CC BY SA 3.0)
 
Un museo a cielo aperto
Oggi la lunga tradizione ceramica di Nove è ampiamente documentata all'interno dell'interessante Museo Civico della Ceramica allestito all'interno dell'elegante Palazzo De Fabris che un tempo ospitava l'Istituto d'Arte per la Ceramica. Al suo interno è possibile ripercorrere la storia delle ceramiche novesi, vicentine e venete a partire dal '700 (ma anche da prima) e sino ai giorni nostri attraverso l'esposizione di una ricca collezione di opere ripartite per epoche tra le quali spiccano quelle premiate ai Concorsi del Salone Internazionale della Ceramica dal 1949 al 1975, concesse in deposito permanente dall’Ente Fiera di Vicenza, e un ricco assortimento di fischietti in terracotta, i “cuchi”, donati da Nino Athos Cassanelli. Il percorso di visita si articola su tre piani che espongono, partendo dall'alto, le ceramiche più antiche, quelle ottocentesche e le opere dal XX secolo ai giorni nostri assieme ai cuchi e alle esposizioni temporanee. Ma il Museo Civico della Ceramica di Nove ama considerarsi una sorta di “museo diffuso”.

Una volta terminata la visita della sede museale, infatti, è possibile completare il proprio viaggio dedicato alle ceramiche seguendo un interessante percorso alla scoperta di altri luoghi della città legati a questa lunga tradizione che spaziano dalle antiche manifatture alle numerose opere di pregio disseminate per le vie della città che arricchiscono gli arredi urbani. Partendo da Palazzo Fabris, questo affascinante itinerario porterà alla scoperta del Liceo Artistico “G. De Fabris”, della Roggia Isacchina e del parapetto didattico, di Palazzo Baccin (ex manifattura Zanolli-Sebellin-Zarpellon), del pannello decorativo di Pompeo Pianezzola “Il Lavoro”, del Grande Pannello Murato di Giuseppe Lucietti, entrambi in via Molini, l'installazione di Alessio Tasca sulle Mura Antonibon che ripercorre la storia di Nove e delle sue ceramiche, l'Antica Manifattura Antonibon (Barettoni dal 1907), la Premiata Fabbrica Ceramiche Artistiche Antonio Zen e Figlio, l'antico mulino “pestasassi” Baccin Cecchetto (ora Stringa) e la Manifattura Agostinelli & Dal Prà.

Esplorando il territorio, vale la pena fermarsi nella vicina Bassano del Grappa per scoprire la storia di un'altra antica tradizione: quella della grappa, il distillato più famoso d'Italia. Da non perdere una visita alla Distilleria Nardini, la più antica d'Italia (di cui vi abbiamo parlato qui), e al Poli Museo della Grappa (ve ne abbiamo parlato qui).

Lavorazione al tornio
 
Come nasce la ceramica
Ma come si fa a trasformare un semplice insieme di minerali in un manufatto di pregio? Innanzitutto bisogna scegliere la giusta composizione di minerali in base al materiale che si vuole ottenere. Per realizzare la porcellana, ad esempio, occorrono caolino e feldspato, mentre per produrre la terraglia servono argilla, carbonato di calcio, magnesio e quarzo. I componenti vengono amalgamati in un impasto che poi viene impiegato per le lavorazioni al tornio o allo stampo. Il manufatto viene, quindi, fatto essiccare ed una volta asciutto, viene cotto in forno a diverse temperature in base al materiale (la porcellana cuoce a 1.250°-1.350°, la terraglia a 980°-1000°). Si procede, quindi, alla decorazione, all'immersione nella cristallina ed alla seconda cottura alla stessa temperatura. In questo modo si ottiene l'effetto finale dell'invetriatura. Gli oggetti in porcellana decorati vengono sottoposti ad una ulteriore cottura a 750° chiamata “piccolo fuoco”. Descritto così a grandi linee il procedimento sembrerebbe quasi “semplice” ma richiede, in realtà, estrema precisione, manualità e creatività. Per sviluppare una tale maestria occorrono anni di studio e di esperienza oltre ad una predisposizione naturale. Per acquisire e far fruttare le giuste competenze e metterle a servizio del talento artistico, il Liceo Artistico G. De Fabris continua ad istruire e formare giovani artisti della ceramica che hanno l'opportunità di studiare in un luogo che ha legato il proprio nome a questa forma espressiva per oltre tre secoli.

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