Dopo quasi 12 ore di viaggio, causa scalo tecnico a Francoforte con relative attese, l’arrivo nella capitale del Sudan contiene già tutte le premesse di quella che sarà una grande avventura. L’aria calda smorzata dalle lusinghe di un karkadè ci accompagna fino all’albergo dove si trascorre la notte, prima di mettersi in viaggio diretti verso Nord, con meta finale le principali località archeologiche lungo l’ansa del Nilo. Pronta a dimenticare presto gli agi di aria condizionata e doccia, mi godo la prima notte in bilico tra il necessario riposo e l’eccitazione di avere, proprio lì davanti all’uscita dell’hotel, il Nilo che scorre, anzi due Nili: quello Azzurro e quello Bianco, che proprio qui (nei pressi della Nile Avènue) trovano il loro punto di unione. Il “fiume della vita” sarà la spina dorsale attorno a cui il nostro viaggio prenderà forma, coordinata geografica e sentimentale che marcherà alcuni dei più intensi momenti in una tabella di marcia piuttosto fitta e articolata.
Alternando tragitti di strada asfaltata e piste nel deserto, si incontrano habitat diversissimi – dal deserto sassoso del Bayuda con i suoi coni vulcanici e sassi quarziferi bianchi alle distese sterminate di acacie ombrellifere e graminacee, passando per oasi puntellate di verde e villaggi contadini sul Nilo –ciascuno con le relative forme di vita, umane e vegetali: scorpioni, gazzelle, asini e cammelli a seguito di nomadi Bisharin, il più importante gruppo etnico del Bayuda, e fellahin, i più antichi coltivatori del Sudan dediti alla cura dei loro piccoli appezzamenti. Per non parlare dei sedentari Nubiani, pronti ad accoglierci nelle loro case dai bellissimi portali dipinti, secondo un rituale di accoglienza che scandirà la seconda parte del nostro viaggio con tappe un po’ improvvisate e decisamente vivaci. Perchè viaggiare in Sudan, ovvero muoversi con intraprendenza al di fuori
di contesti turistici collaudati, vuol dire proprio questo: intessere
relazioni, vivere giorni a cercare l’empatia della gente locale che
diventa parte integrante del viaggio e senza la quale molti spostamenti
sarebbero impossibili. Il rifugio nelle case dei villaggi nubiani per
sfuggire al caldo impietoso del deserto, il rifornimento di viveri nei
mercati locali indispensabili per i pic-nic durante il viaggio e per le
notti in tenda, la caparbietà del pescatore che offre la sua
personale barca per condurci dall’altra parte del Nilo, sono momenti
focali e indispensabili per la buona riuscita del viaggio, e a questo
bisogna arrendersi. Bisogna arrendersi a lasciare macchine fotografiche e
videocamere quando si passeggia nei mercati o per le strade malconce,
perché è vietato e si rischiano sconvenienti incontri con la polizia
locale. All’inizio si può fare fatica a svincolarsi dagli orpelli
tecnologici da fotoreporter, ma alla fine ci si sente quasi liberati e
più propensi all’esperienza dell’incontro nudo e crudo, persino
alleggeriti da quell’impulso a fotografare a tutti i costi. E’ così che i
venditori di frutta, verdura, legumi, tè e altre mercanzie che
abbondano nei banchetti sorprendentemente ordinati dei mercati,
elargiscono sorrisi e saluti senza alcun timore, anzi quasi sbracciandosi per farsi notare.
Le prime soste sono dedicate alla scoperta di un patrimonio archeologico interessantissimo, penalizzato senz’altro dalla concorrenza esercitata dai ben più famosi monumenti del vicino Egitto, nonché dall’arretratezza di un paese ancora privo di strutture turistiche, punito anche dal recente conflitto tribale nella regione occidentale del Darfur che, comunque, è lontana mille chilometri da questi siti. Maestosi resti di città fortificate, templi che affiorano dalle sabbie, piramidi dai profili aguzzi e tombe ipogee decorate rendono giustizia alle grandi civiltà che hanno fatto la storia della Nubia, la terra dei Faraoni neri e del mitico Regno di Kush che il nostro viaggio si appresta a scoprire.
Continua: Karthoum e Omdurman: le due capitali
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