E' una piccola grande storia di amicizia quella che arriva in sala grazie alla coproduzione franco-israeliana firmata da Shlomi Elkabetz (il regista di Viviane). Una riflessione a cuore aperto sull’indipendenza femminile che la regista Maysaloun Hamoud, brillante promessa del cinema mediorientale, mostra di saper gestire con asciuttezza, umorismo e istinto rock.
Una storia ambientata nella multiforme città israeliana, una Tel Aviv metropolitana che ribolle di cultura underground, dove si muovono le tre amiche protagoniste, divise dalle pulsioni e rese gemelle dalla necessità di essere forti.
Una delle mete del turismo mondiale, insieme alla vicina Gerusalemme. Che - nella sua porzione orientale - i palestinesi continuano a reclamare come capitale del proprio Stato. Un luogo dell'anima e dalle molte anime, come quelle delle splendide Cupole della Roccia e di Hebron.
Tre giovani donne arabe a Tel Aviv che amano, ridono, piangono, inseguono desideri, cadono, si rialzano. Bevendo, fumando marijuana, ballando, in attesa dell’alba. E cercando di costruire il perimetro dentro cui affermare la propria identità. Un perimetro proprio, diverso da quello che qualcun altro ha stabilito per loro o quello di confini che continuno a interporre muri alla voglia di vivere.
La definizione di Davide Lerner definisce bene questa Terra, e una delle città che 'meglio' rappresentano la tragica lotta tra arabi e israeliani. Qui sorgono la Tomba dei Patriarchi e la Moschea di Ibrahim, luoghi di culto e di scontri in un luogo dove la tensione non scema e dove gli israeliani, con i loro insediamenti, minacciano dall’alto ormai anche il suq della città vecchia.
Tra i tanti che sono caduti e quelli che qualcuno vorrebbe continuare a erigere, ci sono i molti muri che ancora resistono in alcune zone del mondo. Come qui, a dividere le due popolazioni, simbolo di una ferita ancora aperta e sanguinante che sempre più persone sperano si sani, superando integralismi e interessi nascosti.
Per fortuna sono le persone, i giovani, le donne a tenere viva la speranza. Che non si debba ancora soffrire. E fare di innocenti le vittime di tensioni e tenzoni politiche internazionali. Per "sbriciolare" diffidenze, come fanno Laila (avvocatessa emancipata, la canna sempre accesa tra le dita e l’uomo giusto che non bussa mai alla porta) e Salma (dj lesbica, tanto passionale quanto fragile, figlia di genitori ferocemente devoti alla tradizione), attraverso la loro potente voglia di vivere e il loro sanissimo anticonformismo, con quelle della nuova coinquilina e amica Nour (studentessa modello, vittima predestinata della peggiore sopraffazione maschilista). Ennesimo tentativo, e insieme prezioso passo avanti.