C’era una volta una nazione, grande quasi quanto l’Italia, che non aveva luce elettrica, acquedotti e fognature, non conosceva i giornali, possedeva 9 km di strade asfaltate e un solo ospedale (straniero), dove per spostarsi da un posto all’altro occorreva un permesso e di notte vigeva il coprifuoco, dove tutti i poteri erano concentrati nelle mani di un sultano assolutista che aveva sui suoi sudditi poteri di vita e di morte e che fece chiudere le poche scuole esistenti, già precluse alle femmine, perché possibili fonti di corruzione. Questo succedeva non nel Medioevo ma nel 1970 in Oman, estremo lembo sud-orientale della penisola arabica, una terra desertica ma tanto ricca in passato da produrre oro, incenso e mirra dei Re Magi e da essere la patria di Sindbad, l’intraprendente marinaio delle
Mille e una notte, e di un popolo che per commercio spingeva le sue esili navi in tutto l’oceano Indiano da Zanzibar fino all’India e alla Cina.
Nel 1970 prese il potere Qabus Bin Said, figlio del sultano oscurantista con studi in college britannici, che in trent’anni ha trasformato radicalmente il paese, facendone uno dei più progrediti ed equilibrati del Medio Oriente. Oggi anche i villaggi sperduti tra le montagne hanno acqua, luce e scuole, le strade asfaltate tagliano il deserto, le navi da pesca, la maggior risorsa economica tradizionele, dispongono di celle frigo, le ragazze frequentano l’università. Non esiste monumento antico che non sia stato restaurato, ci sono musei e parchi naturali, le strade della capitale Muscat sono più pulite di quelle di Zurigo, i beduini del deserto viaggiano in Toyota, nei distributori di benzina c’è una pompa gratis per l’acqua, studenti e impiegati statali esibiscono ogni giorno con orgoglio l’abito nazionale, gli avveniristici alberghi sulla costa pullulano di turisti occidentali in costume. Qabus rimane il monarca assoluto, forse l’ultimo al mondo, di un paese prospero, stabile, efficiente e sicuro, turisticamente attraente per le sue molteplici valenze; un desposta illuminato che non fa certo rimpiangere le nostre baruffose democrazie e che invoglia a visitare questo regno dei miracoli.
Una meta di indubbio interesse, l’Oman, con una notevole varietà ambientale dove si susseguono una fascia costiera affacciata sull’oceano Indiano con golfi, penisole, baie e isolette e con un mare ricco di pesci tropicali, delfini, tartarughe, balene e barriere coralline dove fare immersioni e snorkeling, un retrocosta con montagne piuttosto brulle ma anche molto fertili alte fino a 3.000 metri, e nell’interno l’enorme deserto arabico abitato da beduini nomadi con le loro mandrie, un’insolita vegetazione e una fauna selvatica autoctona, e con le dune che scendono fino all’oceano.
I deserti del sud, al confine con lo Yemen, sono l’unico luogo di produzione dei due prodotti un tempo preziosi quanto l’oro, l’incenso e la mirra, che due millenni or sono ne fecero una delle terre più ricche del mondo e il punto di partenza della Via dell’Incenso. Un paese benestante, pulito, ordinato, efficiente e sicuro, alleato dell’Occidente, capace di amministrare con oculatezza le non illimitate risorse petrolifere e dosare le tradizioni di un glorioso passato.