Il paesaggio che scorre e incanta spostandosi nel Ladakh ha in sé qualcosa di straordinario, fuori dal comune. Ed in effetti, appartenendo geograficamente all’area dell’altopiano tibetano, gli scenari sono quelli, esorbitanti, del Tibet. Distese desertiche e rocciose dove ogni tanto spuntano superbi quei murales divini che sono i mandala (diagramma magici), aree verdeggianti come oasi in pieno nulla, giochi di luce tra le vette innevate protese all’orizzonte davanti a un manto di cielo denso di vento che pare echeggiare da ogni dove i mantra scritti sulle bandierine colorate che svolazzano sui punti più ariosi. E poi muriccioli coperti con pietre dai colori delle montagne con su incisa la formula sacra om mani padme hum e i chortens, monumenti sepolcrali eretti a commemorare santi o miracoli, punteggiature del sacro che accompagnano lo sguardo del viandante invitando a continue meditazioni.
La fortuna dei magnifici gompa (monasteri fortificati) del Ladakh è stata che, appartenendo al territorio indiano, non hanno subito le depredazioni inflitte dai cinesi a quelli tibetani. I più significativi sono quelli sorti attorno alle grotte in cui usavano meditare gli yogin, come ad esempio il monastero Tak-thok a Leh che, al suo interno, contiene una delle caverne in cui meditò l’apostolo indiano buddista Padmasambhava, autore del Tantraloka, durante il suo viaggio attraverso il Tibet. Ancora più grandioso è il monastero di Lamayuru (nella foto), un capolavoro circondato da montagne da ogni lato e situato lungo il suolo di una valle che, secondo la leggenda dell’arhat Madhyantika, sarebbe stata ricoperta anticamente da un lago, il Nimagon. L’arhat, discepolo di Buddha, avrebbe offerto il “torma” (cibo sacro) e acqua agli spiriti del luogo per ingraziarli e questo avrebbe causato il prosciugamento del lago. In seguito pare che un getto d’acqua si riversò sul terreno facendo germogliare i chicchi d’orzo offerti in dono, che misteriosamente crebbero all’ombra del Yung-Drung (swastika), da cui il nome del monastero.
E’ questo un luogo investito di una potenza poco esprimibile a parole, di cui la natura è la sovrana indiscussa. Proteso sulla cosiddetta “Valle della Luna”, una striscia di terra color oro forgiata dalle concrezioni più strane e inverosimili, il monastero Yung-Drung custodisce e venera uno dei cimeli più preziosi del buddismo tantrico, la grotta di Naropa (1016-1100 ca), il grande yogin autore del Kalacakra Tantra, il testo fondamentale del tantrismo tibetano. Un grande numero di chortens circonda il sito, a testimonianza dell’antichità di questo luogo che si erge, solido, sull’orlo di strapiombi e davanti a spianate di luce lunare. A Lamayuru si può soggiornare in un modesto hotel che evoca la bellezza del luogo, “Moon Land”, proprio a fianco del monastero, a cospetto delle maestose montagne.
La strada che da Leh sale verso Lamayuru per circa tre ore è tra le più spettacolari; per un tratto si segue il corso del fiume Indo con tutte le sue acrobatiche deviazioni a ridosso di giganti di pietra a loro volta cangianti di curva in curva. E proprio sulla sponda dell’Indo, agganciato da un ponte tibetano decorato dalle solite bandierine dei mantra, si trova il Grea Village, un tipico villaggio ladakhi dove ci si aggira in un mondo lento, silenzioso, animato da pecore e da poche anime che non hanno fretta di consumare la loro quotidianità. Una donna lava al fiume i panni, guarda corrucciata e perplessa le nostre attrezzature fotografiche ma continua nelle sue faccende, come se una sorta di necessità fuori dal tempo gravasse su di lei. Un bambino con un viso sgargiante dai lineamenti mongoli ci saltella intorno invitandoci a vedere la sua casa. Sono abitazioni estremamente umili, con grandi terrazze a mò di dispense invase da frutta lasciata ad essiccare. Intorno, il grande silenzio delle montagne e una ricca vegetazione amica che offre nutrimento per il corpo e per lo spirito.