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La Danimarca di Andersen. Morale della favola

La Copenaghen di Andersen

A 200 anni dalla morte di Hans Christian Andersen, la Danimarca celebra il suo famoso favolista e poeta, introverso "brutto anatroccolo" dall'animo sensibile.

Copenaghen
©Ente Danese per il Turismo
Anno 2005. Parte la potente macchina mediatica attorno a un progetto culturale promosso come “Hans Christian Andersen 2005”. Spessore speculativo e impegno didattico sono le colonne portanti di una iniziativa che rientra a pieno titolo nella lista delle celebrazioni rigorosamente post mortem che aiutano a ricordarci di ricordare, probabilmente quando è già troppo tardi.

Ma non è su questo che vogliamo soffermarci (si può trovare tutto sul sito, appositamente creato, www.hca2005.com). La storia che ci preme raccontare fa sua la leggera gravezza di una fiaba, intessuta di atmosfere reali filtrate dalla magia di un racconto. E di magie dobbiamo parlare, in fondo, raccontando la vita del favolista danese Hans Christian Andersen. Perché di una vita si tratta, di un destino che ha avuto in sorte la necessità di evadere da una realtà provinciale a una cosmopolita. E qui entrano in gioco i grandi scenari della Danimarca.

Quanto la vicenda umana, culturale e artistica di Andersen sia legata ai luoghi della sua Danimarca, è risaputo. Odense, la città natale, era l’unica città di provincia ad avere all’epoca un teatro, luogo in cui Andersen maturò la sua vocazione artistica, vivendo tra l’altro in condizioni molto umili. E che dire di Copenhagen? La fervente metropoli dovette apparire al quattordicenne Andersen come l’inevitabile via di fuga, contro il suo retaggio sociale e verso la maturità artistica. Così fu.

“Lunedì mattina, il 6 settembre, nel 1819, dall’alto di Frederiksberg vidi Copenaghen per la prima volta”. Con queste parole lo scrittore ricorda quel giorno importante, nella sua autobiografia pubblicata nel 1926. Se la città natale gli aveva ispirato personaggi quali “La Sirenetta” e “Il brutto anatroccolo”, la città adottiva fece anche di più. Incontrò l’animo solitario di questo genio intimamente incompreso e fisicamente goffo che si struggeva nei caffè all’aperto, attratto dal movimento di barche e pescherecci lungo il canale.

Locande, alberghi, stanze di fortuna, l’adolescente Andersen non aveva una residenza fissa a Copenhagen. Amava viaggiare almeno quanto amava la sua “seconda città”, tanto da volerla vivere in tutti i suoi aspetti. Il Cafè a Porta, che attualmente si trova vicino ai Magasin du Nord, era un suo punto di riferimento, insieme alla biblioteca universitaria, all’ultimo piano del Rundetårn (la torre rotonda), l’osservatorio astronomico del diciassettesimo secolo, ancora oggi visitabile.

I famosi giardini di Tivoli, il parco dei divertimenti della capitale danese, accolsero la fantasia di un’indole incline alle seduzioni panteistiche, da cui nacque la fiaba “L’usignolo”. Quei giardini sono oggi noti come parco delle fiabe. Certo nessun giardino, vicolo o canale, può restituirci i pensieri più intimi di un introverso “brutto anatroccolo” che sublimava le sue vicende meno liete in fiabe tristi ma sempre a lieto fine.

Quello che resta è il suo nome inciso su una strada (H.C. Andersen Boulevard), due statue (una in Kongens Have - nella foto -, l’altra dirimpetto a H.C.Andersens Boulevard) e, nuova di zecca, una casa-museo vicina alla strada pedonale Strøget. Mentre la protagonista di una delle sue più note fiabe,  la Sirenetta, è immortalata nell’omonima statua, uno tra i monumenti più citati dalle guide turistiche di Copenhagen.

 

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