Ai romani non manca certo la capacità di chiacchierare, né tantomeno il sarcasmo, o la graffiante ironia: ma c’erano tempi in cui le opinioni, le battute, la satira indirizzati alla classe dirigente non si potevano esprimere a voce alta. La Roma papale non era certo un esempio di libertà di pensiero e parola, ma i romani, ingegnosi più che mai, trovarono il modo di farsi gioco di aristocrazia e clero, attribuendo alle statue la capacità di ‘parlare’ in nome della gente comune. La Città Eterna è ancora oggi costellata di quelle che comunemente vengono chiamate le ‘statue parlanti’, che un tempo (per nulla lontano) si facevano divulgatrici di pettegolezzi, ironie, umori, opinioni, battute, proteste che venivano dal popolo.
LEGGI ANCHE: ROMA INSOLITA. COSA NASCONDE IL CIMITERO ACATTOLICO
Dal 1500 alla fine del 1800 le statue parlanti erano la voce del malcontento: di notte, senza essere viste, le persone affiggevano cartelli ai marmi, a volte sotto forma di versi, altre di dialogo, a volte vere e proprie freddure. Tra le più famose, la seicentesca ‘Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini’ (‘Ciò che non fecero i barbari, lo fecero i Barberini’) riferita a Papa Urbano VIII (Barberini) che dilapidò i residui bronzei del Pantheon per farci il baldacchino papale. Oppure ‘In questa tomba giace un avvoltoio cupido e rapace. Ei fu Paolo Farnese, che mai nulla donò, che tutto prese’, dedicata a papa Paolo II. E ancora la celebre ‘Dacci un papa miglior, Spirito Santo, che ci ami, tema Dio, né campi tanto’ affissa alla fine del pontificato di Clemente XI, durato ben 20 anni. Spesso erano dei letterati a prestarsi per la redazione dei cartelli, visto che la maggior parte del popolo era analfabeta, e non è raro che questo pretesto venisse utilizzato per fare propaganda politica.
SCOPRI TUTTI I MONUMENTI ITALIANI DA VISTARE
Quelle sopra citate sono anche note come ‘pasquinate’, perché la più mordace lingua marmorea tra le statue parlanti di Roma è quella di Pasquino, un mezzobusto che si trova in uno slargo accanto a Piazza Navona, alle spalle di Palazzo Braschi, oggi noto come Piazza di Pasquino. A questa statua si attribuì per secoli la facoltà di fare satira politica - fino addirittura ad una visita di Hilter nel 1938 - tanto che alcuni papi pensarono di eliminarla: Alessandro VI la voleva gettata nel Tevere, ma un saggio consigliere suggerì che la sua voce si sarebbe fatta ancora più forte; Leone XIII lo fece sorvegliare giorno e notte da guardie armate, ma ottenne solo che l’eco delle pasquinate si allargasse a tutto il quartiere Parione. Altra celeberrima statua parlante è quella di Marforio, situata nel cortile di un’ala dei Musei Capitolini e divenuta particolarmente nota per il film ‘La Grande Bellezza’, una colossale figura barbuta sdraiata. C’è poi il ‘babuino’ della via omonima, ornamento di una fontana che i romani trovarono talmente brutto da associare ad una scimmia. Tra le più ‘chiaccherone’ il Facchino di Via del Corso, un bassorilievo che ritrae un acquarolo (portatore d’acqua). Non manca una rappresentante femminile, il busto marmoreo di Madama Lucrezia, situato su un lato di Palazzo Venezia: e infine c’è lo sfortunato (perché periodicamente vandalizzato e decapitato) Abate Luigi, che si trova sul lato sinistro di Sant’Andrea della Valle. Se vi trovate a passeggio per la Città Eterna, andate a sentire cos'hanno da dirvi le statue parlanti.