"Per poter davvero comprendere il sostrato culturale, ho deciso di andare in Arabia Saudita", racconta il tedesco Tom Tykwer, regista di Aspettando il re, ma prima di lui lo stesso viaggio lo aveva compiuto Dave Eggers, per raccogliere elementi ed esperienze utili a realizzare il romanzo alla base del film che arriva nelle nostre sale dopo un anno dalla sua presentazione e che ci mostra il Premio Oscar Tom Hanks nei panni del protagonista, alle prese con un 'Clash' culturale e con qualche situazione particolarmente 'a rischio', come nella Città Santa dell'Islam, La Mecca, incredibilmente nel film!
Il suo Alan Clay è un uomo d'affari in crisi, che per rimettersi in pista vola in Arabia Saudita nel tentativo di concludere con il re l'affare del secolo. Inizialmente disorientato da usanze locali incomprensibili ed estenuato dall'attesa del re che tarda a riceverlo, Alan cerca di portare avanti il suo progetto con l'aiuto del bizzarro tassista-eroe Yousef e di una bravissima e amorevole dottoressa. Mano a mano che il legame tra questi si rafforza, le barriere culturali crollano e Alan comincia perfino a immaginare di ricominciare tutto da capo lì, dove tradizione e modernità si fondono in modo misterioso e affascinante.
"Come Dave sono atterrato a Jeddah e ho chiesto ad un certo Mandur di farmi da guida - continuava Tykwer, svelando che è stato lui "il nostro modello di riferimento per il personaggio di Yousef". Così, 'fattosi' Alan Clay lui stesso, e accompagnato dall'autista che aveva spinto Eggers a scrivere il suo libro, il regista tedesco è come lui finito per caso nella città santa a un passo dalla Ka'ba. "Non sono musulmano, per cui non mi è consentito entrare a La Mecca, - ricorda, - ma quella volta abbiamo perso l'uscita e abbiamo dovuto attraversare la città. La situazione era un po' pericolosa. Non volevo violare la legge, ma era successo, e così ci siamo trovati in mezzo alla città"! "Avevamo un permesso per girare, generico, ma non per filmare scene", e questo grazie al fatto di avere una troupe in parte musulmana, proprio per le riprese di Gedda e La Mecca.
La sequenza è stata poi ricostruita in fase di montaggio, approfittando di quanto realizzato in Marocco. Di fatto, la location principale del film, escludendo i set egiziani di Hurghada e quelli statunitensi (Boston) o europei, di Düsseldorf e Berlino (la festa norvegese si svolge in realtà al Liquidrom di Möckernstraße 10) dove la produzione si è spostata tra il marzo e il giugno del 2014. D'altronde, non avendo avuto il permesso di girare in Arabia Saudita, Tykwer e i suoi scout hanno cercato nei dintorni, dai vicini Emirati Arabi Uniti (che anche gli rifiutarono l'accesso) alle impraticabili Giordania ed Egitto, finendo per spostarsi di circa 5.000 chilometri ad ovest, in Marocco.
Nonostante tutto, "il viaggio in Arabia Saudita mi ha reso più sicuro e fiducioso nel poter girare un film su quella parte di mondo" erano state le parole del regista, costretto a piazzare le macchine da presa tra Ouarzazate e Laayoune, tra Rabat e Casablanca, in alcune delle regioni più remote del Paese. "Certe volte ci recavamo in posti in cui non riuscivi a credere di poterti sentire così isolato dal resto dell'umanità, - ricorda Hanks che aveva già soggiornato brevemente in Marocco per le riprese de La guerra di Charlie Wilson, e che stavolta vi si è fermato per quasi otto settimane. - La mia idea del deserto è quella di Palm Springs o della Death Valley, dove, se solo prosegui un po', ti ritrovi in una città con acqua calda corrente e tutte le comodità. Ma noi abbiamo girato nel Sahara Occidentale, un luogo in cui se sei a piedi non puoi sopravvivere".
Il suo Alan Clay è un uomo d'affari in crisi, che per rimettersi in pista vola in Arabia Saudita nel tentativo di concludere con il re l'affare del secolo. Inizialmente disorientato da usanze locali incomprensibili ed estenuato dall'attesa del re che tarda a riceverlo, Alan cerca di portare avanti il suo progetto con l'aiuto del bizzarro tassista-eroe Yousef e di una bravissima e amorevole dottoressa. Mano a mano che il legame tra questi si rafforza, le barriere culturali crollano e Alan comincia perfino a immaginare di ricominciare tutto da capo lì, dove tradizione e modernità si fondono in modo misterioso e affascinante.
"Come Dave sono atterrato a Jeddah e ho chiesto ad un certo Mandur di farmi da guida - continuava Tykwer, svelando che è stato lui "il nostro modello di riferimento per il personaggio di Yousef". Così, 'fattosi' Alan Clay lui stesso, e accompagnato dall'autista che aveva spinto Eggers a scrivere il suo libro, il regista tedesco è come lui finito per caso nella città santa a un passo dalla Ka'ba. "Non sono musulmano, per cui non mi è consentito entrare a La Mecca, - ricorda, - ma quella volta abbiamo perso l'uscita e abbiamo dovuto attraversare la città. La situazione era un po' pericolosa. Non volevo violare la legge, ma era successo, e così ci siamo trovati in mezzo alla città"! "Avevamo un permesso per girare, generico, ma non per filmare scene", e questo grazie al fatto di avere una troupe in parte musulmana, proprio per le riprese di Gedda e La Mecca.
La sequenza è stata poi ricostruita in fase di montaggio, approfittando di quanto realizzato in Marocco. Di fatto, la location principale del film, escludendo i set egiziani di Hurghada e quelli statunitensi (Boston) o europei, di Düsseldorf e Berlino (la festa norvegese si svolge in realtà al Liquidrom di Möckernstraße 10) dove la produzione si è spostata tra il marzo e il giugno del 2014. D'altronde, non avendo avuto il permesso di girare in Arabia Saudita, Tykwer e i suoi scout hanno cercato nei dintorni, dai vicini Emirati Arabi Uniti (che anche gli rifiutarono l'accesso) alle impraticabili Giordania ed Egitto, finendo per spostarsi di circa 5.000 chilometri ad ovest, in Marocco.
Nonostante tutto, "il viaggio in Arabia Saudita mi ha reso più sicuro e fiducioso nel poter girare un film su quella parte di mondo" erano state le parole del regista, costretto a piazzare le macchine da presa tra Ouarzazate e Laayoune, tra Rabat e Casablanca, in alcune delle regioni più remote del Paese. "Certe volte ci recavamo in posti in cui non riuscivi a credere di poterti sentire così isolato dal resto dell'umanità, - ricorda Hanks che aveva già soggiornato brevemente in Marocco per le riprese de La guerra di Charlie Wilson, e che stavolta vi si è fermato per quasi otto settimane. - La mia idea del deserto è quella di Palm Springs o della Death Valley, dove, se solo prosegui un po', ti ritrovi in una città con acqua calda corrente e tutte le comodità. Ma noi abbiamo girato nel Sahara Occidentale, un luogo in cui se sei a piedi non puoi sopravvivere".