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Bovino, piccolo borgo antico in provincia di Foggia

E' uno dei gioielli del territorio intorno a Foggia, che vanta anche un particolare tipo di formaggio

Veduta di Bovino
©iStockphoto
Panorama di Bovino
Tra i tanti gioielli custoditi in Puglia Bovino, inserito nel circuito dei Borghi più Belli d’Italia, si trova in provincia di Foggia. Come racconta Plinio ai cui tempi il borgo era conosciuto con il nome di Vibinum, accquista una certa importanza in epoca romana grazie anche alla sua posizione strategica tra Puglia e Campania. E’ infatti arroccato su un’altura dei Monti Dauni circondato da splendidi boschi, immerso in una cornice paesaggistica tra le colline che non rimanda al pensiero della Puglia costiera, quello a cui più comunemente si associa la regione, ovvero al mare, bensì a scorci bucolici immersi nella natura verde. Già l’origine del nome è particolare, in quanto l’antico Vibinum si rifa ad un termine originato dalla lingua degli Oschi e dei Sanniti che significa “bue”: ed infatti il bue è presente nello stemma comunale. Quello che era l’impianto romano viene distrutto dai Bizantini, per tornare a nuova vita sotto l’imperatore macedone Basilio I ed essere nuovamente preso d’assalto dai Saraceni e da Ottone I di Sassonia fino a quando, sotto Federico II, inizia finalmente un sereno periodo di assestamento. Un’impronta fondamentale al paese viene data dal nobile spagnolo Don Giovanni de Guevara, che rimodernò il vecchio castello trasformandolo in una dimora gentilizia: l’edificio oggi domina su tutto il borgo e viene considerato da molti uno dei luoghi più suggestivi della Daunia. Il castello e l’imponente torre normanna vennero costruiti nel XI secolo da un conte normanno e ampliati da Federico II prima dell’intervento dei conti di Guevara che lo abitarono fino al 1961. Tra gli ospiti illustri qui ospitati figurano Tasso, Maria Teresa d’Austria e Benedetto XIII. 



Oltre al Castello Bovino offre molto altro tra le sue case che si raccolgono strette nel reticolo di viuzze del centro. Le antiche palazzine nobiliari svelano agli occhi più attenti incantevoli corti, portali in pietra e i resti di quelle che erano le mura romane della città, oltre a mosaici e pavimentazioni antiche. Tra le sette chiese presenti spicca la Cattedrale, dedicata a Santa Maria Assunta, risalente alla fine del X secolo ma  rimaneggiata in stile romanico nel XII per annettervi la limitrofa chiesa di San Marco, quella che oggi è l’attuale cappella a destra dell’abside. Nel secolo successivo venne dotata della facciata con elementi di influsso gotico, tra cui spiccano pregevoli decorazioni a tema floreale e zoomorfe. Interessanti anche la Chiesa di San Marco che custodisce una serie di tombe monumentali vescovili; la romanica Chiesa di San Pietro del 1099; la splendida Chiesa del Carmine costruita dai Gesuiti nel Seicento; la Chiesa del Rosario, gotica, costruita nel 1205. Del Quattrocento sono invece le chiese dedicate all’Annunziata, a San Francesco e ai Cappuccini. A tutto questo si può aggiungere una tappa al Museo Civico che ha trovato sede nel Palazzo Pisano e al Museo Diocesano ospitato invece tra le mura del Palazzo Ducale. La Biblioteca Diocesana vanta un patrimonio librario di 10 mila volumi ed è uno dei fiori all’occhiello della cittadina. 



Discorso a parte meritano le Cantine di Cerrato, un monumento archeologico sotterraneo costituito da due ambienti contigui. Si trovano nel centro storico, per l’esattezza sotto l’isolato compreso tra il Duomo, Via Roma, Via Torino e Via Alfieri e si sviluppa per circa 3 metri di profondità rispetto al piano stradale, mentre gli ambienti si prolungano per oltre 20 metri proseguendo al di sotto di altri fabbricati. Sono costituiti da due vani perpendicolari coperti da volte a botte, dove sboccano condotti sotterranei di collegamento con pozzi e altre cisterne, e con molta probabilità si trattava di cisterne per l’approvvigionamento idrico della città. C’è poi una leggenda che riguarda il Santuario della Madonna di Valleverde, che racconta della sua origine legata all’apparizione della Vergine ad un boscaiolo nel 1265. Si racconta che la Madonna, in un bosco di querce e lecci, apparve al boscaiolo in prossimità di una sorgente, esortandolo ad erigere nel bosco una chiesa in suo onore e di intitolarla poi a Santa Maria di Valverde, una località spagnola dove la chiesa a lei dedicata era stata ormai abbandonata a causa della cattiveria e dell’iniquità degli abitanti. Da quel momento Maria si allontanò dalla località spagnola. Il racconto dice che le parole della Vergine rivolte al boscaiolo furono“ vai e riferisci al clero e ai cittadini che Santa Maria vuole dimorare nel territorio di Bovino in difesa dei suoi abitanti, che vengano e mi costruiscano una casa intitolata Santa Maria di Valle Verde”. Per incrementare il culto della Vergine di Valleverde e accogliere i tanti devoti che accorrevano alla chiesa, il Vescovo Mainerio, nel 1286, fece erigere attiguo alla chiesa un eremo. Ma il Santuario che conosciamo noi oggi fu edificato solo nella prima metà del Novecento, sui resti dell’originaria e semplice chiesa costruita nel lontano 1200 in seguito all’apparizione e distrutta da un terremoto: si presenta con una struttura moderna e molto caratteristica e vanta una delle più eleganti statue lignee del XIII secolo raffiguranti la Vergine.


 
Nel visitare Bovino non ci si può far mancare una sosta prelibata dedicata alla buona tavola.  Ecco i classici prodotti pugliesi fatti rigorosamente a mano, come i biscotti con le mandorle, i tarallile o le orecchiette che qui si mangiano con il sugo di carne. Da non perdere uno dei vanti dell'industria casearia italiana, il gustoso caciocavallo podolico, da consumare in purezza con una buona fetta di pane pugliese. Questa particolare varietà di caciocavallo è prodotta esclusivamente con il latte delle vacche Podoliche, alla maniera tradizionale e solo in certi periodi dell’anno. Sono  mucche caratterizzate da un mantello di colore grigio che fanno parte dei paesaggi di diverse zone meridionali. Provengono dalla Podolia, una regione dell’Ucraina che confina con la Polonia, e furono portate dagli Unni e con molta probabilità anche dai Romani. Nei luoghi in cui ancora avviene la transumanza si pone alla testa della mandria una mucca adulta con una campana di oltre 5 kg al collo: al suono della campana tutte le altre, che possono arrivare anche ad un numero di 500 e oltre, sono in grado di seguirla anche per 60 chilometri attraverso strade, paesi, boschi e fiumi in piena.


 
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