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A Zoldo nel cuore delle Dolomiti per La pelle dell'orso

Il film d'esordio di Marco Segato ci svela il bellunese, le sue montagne e le sue tradizioni

Rai Cinema
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Fortunatamente non sono mancate le occasioni per ammirare la bellezza delle montagne italiane e del nostro Settentrione anche sul grande schermo. In molti film, di ieri e di oggi. Siamo stati a Trieste con La coppia dei campioni, in Trentino-Alto Adige con un'altra coppia ugualmente intrigante e abbiamo esplorato le tradizioni di quei luoghi con il Krampus, ma è un piacere godere della vista dell'area della Val Zoldana, nel bellunese più affascinante, alle porte del Cadore, nel nuovo La pelle dell'orso di Marco Segato.

In passato avevamo ritrovato la Val Senales in Everest, Cortina d'Ampezzo in Solo per i tuoi occhi e La Pantera Rosa, le Dolomiti di Brenta nella televisiva Una buona stagione, Misurina, Giau e Cinque Torri ne L'orso o il passo Tre Croci in Il segreto del Bosco Vecchio con Paolo Villaggio (che era stato da quelle parti per il suo Fantozzi in Paradiso). E oggi torniamo alle pendici di cotanta meraviglia per raccontare dell'introverso Domenico e di suo padre Pietro, consumato dalla solitudine e dal vino, che vivono in un villaggio nel cuore delle Dolomiti. Due estranei condannati al silenzio. Un silenzio che viene strappato dall'arrivo del Diaol, il diavolo, un orso vecchio e feroce che terrorizza la comunità, superstiziosa e impotente. In attesa di un Deus Ex Machina: Pietro. Ma saranno padre e figlio, insieme, ad affrontare la sfida, immergendosi nei boschi, sempre più a fondo, fino ad esserne inevitabilmente trasformati.

Come accade spesso. Come sa chi conosce la montagna. Come il climber Royal Robbins, la cui citazione ("Le montagne restano immobili, siamo noi che dopo un'avventura non siamo più gli stessi") è stata scelta per presentare il film, girato in Val di Zoldo e dintorni tra la fine del maggio 2005 e il luglio successivo. Sette settimane nella quali il 'comune sparso' nato nel 2016 dalla fusione dei comuni di Forno di Zoldo e Zoldo Alto (e la cui sede comunale è Fusine) è stato protagonista, e con esso una ottantina di abitanti della zona, chiamati a fare da comparse, anche per alcune "riprese notturne"; come ricorda Giacomo Gagliardo, direttore di produzione: "a Fornesighe, pensate per far rivivere la tradizionale processione della Gnaga, la tipica maschera di legno zoldana la cui festa trova la sua origine nel 1897. Altre riprese importanti anche alla Veda sopra Fornesighe, attorno al lago del Vach, al bosco di Sottorogno, a Val Pramper e via di seguito".

Ma il film ha una origine letteraria, l'omonimo romanzo di Matteo Righetto. "Mentre leggevo il libro di Matteo Righetto da cui il film è stato tratto - racconta il regista Marco Segato, - ho subito pensato di aver trovato il soggetto ideale per raccontare la 'mia storia', quella di un viaggio al contempo fisico e spirituale, un'esperienza iniziatica per il giovane protagonista che lo spinge a riavvicinarsi al padre dopo anni di silenzi amplificati dall’assenza della madre e dalla vita dura di montagna". E che ammette di aver voluto disegnare, rispetto al libro, "un mondo più duro e complesso".

Che non a caso ha conquistato anche la Regione Veneto, che sostiene il film, insieme a De Rigo Vision, Credito Valtellinese, Tasci, Destro Flavio, Orsoni Davide, Guido Maria Brera e alla partecipazione di Jolefilm, Rai Cinema e MiBACT alla produzione. Tutti affascinati dall'esordio di un regista che così ci presenta la sua avventura: "un film molto personale, intimo ed essenziale, nell’osservare da vicino gli stati d’animo dei protagonisti e il loro conflitto. Una fiaba nera ancorata alla realtà, dove il realismo della vicenda viene spinto al limite fino a sfiorare il fantastico. Come per l’orso, elemento quasi soprannaturale, che nella storia incarna tutte le paure più ancestrali. Il bosco quindi è il luogo centrale dello scontro/incontro tra padre e figlio, tra Domenico e el Diàol. Qui è la natura a imporre le proprie regole e gli uomini sono costretti a rispettarle".

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