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Bologna, Il Cristo Morto che ha stregato il Vate

La Chiesa di Santa Maria della Vita ospita uno dei più bei gruppi scultorei della storia dell’arte italiana, ammirata anche da un giovane D’Annunzio

Sculture di legno<br>
©Sailko/Wikipedia
Dettaglio de Il Compianto del Cristo Morto
Dal luglio del 1911 al settembre del 1914 Gabriele D’Annunzio collaborò con il Corriere della Sera pubblicando Le faville del maglio, due volumi di prose autobiografiche. In una di queste racconta di una sera d’autunno quando, da ragazzo, entrò con il padre in una chiesa di Bologna per ascoltare musica sacra.

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Mentre il padre era intento all’ascolto lui si mise a girovagare per la chiesa, che era illuminata fiocamente, e tutto ad un tratto si irrigidì: “Intravidi nell’ombra non so che agitazione impetuosa di dolore. Piuttosto che intravedere, mi sembrò esser percosso da un vento di dolore, da un nembo di sciagura, da uno schianto di passione selvaggia.” Ecco cosa si prova ancora oggi ammirando Il Compianto del Cristo Morto, un gruppo scultoreo di sette figure in terracotta opera di Niccolò dell’Arca, conservato nella Chiesa di Santa Maria della Vita, nel centro storico del capoluogo emiliano, a pochi passi da Piazza Maggiore.

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Il Santuario faceva parte di un complesso ospedaliero, l’Ospedale della Vita, fondato dall’antichissima Confraternita dei Devoti Battuti. All’interno della cappella di destra, a fianco dell’altare maggiore, si trova questo capolavoro della scultura quattrocentesca che non ha eguali per forza drammatica: composto da sei figure a grandezza naturale più il Cristo giacente, risale al 1463 e fu commissionato dalla Confraternita. Il Cristo, disteso con la testa reclinata su un cuscino, è circondato dalle altre figure tra cui spiccano le Marie straziate dal dolore con le vesti gonfiate dal vento. Gli altri personaggi sembrano più composti, anche se i loro volti mostrano comunque una dolorosa partecipazione. Si riconoscono subito la Madonna con le mani giunte e San Giovanni mentre piange silenziosamente con un palmo della mano che regge il mento e, staccata dagli altri, una figura inginocchiata con abiti rinascimentali che dovrebbe rappresentare il committente (Approfondisci il Compianto su Cristo Morto sul Sito dei Beni Culturali)

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Non è solo D’Annunzio a rimanerne sconvolto, poiché non si tratta della solita Pietà, simbolo del dolore composto e rassegnato della Vergine e degli amici riuniti attorno al cadavere del Cristo appena deposto dalla croce. Come è molto ben spiegato qui non c’è niente di divino o solenne nelle figure in terracotta, piuttosto si tratta di semplici esseri umani in tutta la loro semplicità, disperati di fronte alla morte di una persona cara, con gesti ed espriessioni carichi di drammaticità e phatos.

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Se gli uomini sono immobilizzati nel dolore, le quattro donne lo esprimono al meglio. La Madre dal volto straziato è accartocciata su se stessa, con le mani strette a pugno l’una contro l’altra. Maria di Salonne, che si trova al suo fianco, tenta di trattenere l'esplosione del dolore piantandosi le unghie nelle cosce e sembra lanciare urla soffocate. Maria di Cleofe tende le mani come per nascondere alla vista quella morte. E poi c’è la Maddalena, che arriva di corsa piangendo, scomposta nell'atteggiamento e nella veste e con il viso deformato dalla bocca spalancata in un lacerante urlo.

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Dal Seicento questo capolavoro venne rifiutato dagli Amministratori dell’Ospedale della Vita con la scusa che spaventava gli ammalati, mentre oggi è molto apprezzato dagli amanti d’arte ma non cosi conosciuto dal grande pubblico.

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