Sciacca è una delle perle della Sicilia, ricca com’è di monumenti e chiese, forte della sua vocazione marinara e termale e celebre per il suo storico Carnevale oltre che per la ceramica. Ma c’è sempre tanto da scoprire in questa località in provincia di Agrigento: chi trova a passare in località Sant’Antonio, ad esempio, non può non rimanere colpito da un luogo molto particolare, che sorge alle falde del Monte Kronio. Si tratta di un giardino dove si possono ammirare centinaia di opere scultoree di volti, di ogni dimensione, ricavate dal tufo da Filippo Bentivegna, personaggio piuttosto particolare che nulla sapeva di arte e scultura. Nato a Sciacca nel 1888 e morto nel 1967, della sua vita si sa che emigrò in America sulle orme dei fratelli ma che li subì un grave trauma cranico e, dichiarato non sano di mente, venne rimpatriato in Italia.
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Non essendo però ritenuto pericoloso per la comunità fu lasciato libero di acquistare un appezzamento terreno dove si ritirò per realizzare la sua grande opera. Con la sua vena naif ebbe l’ispirazione di estrarre il tufo direttamente dalla terra per scolpire solo teste, dando loro qualsiasi espressione: ecco allora comparire teste tristi, felici, enigmatiche, sorridenti, pensierose, arrabbiate, tutte però accomunate da uno sguardo perso nel nulla; testa accatastate, affiancate e bifronti, ritratte con espressività anche se lontane da qualunque padronanza tecnica ma nello stesso tempo inquietanti per la loro fissità e spesso raggruppate come in grappoli, quasi a voler ricordare presenze ancestrali sotto forma di Totem. Le teste, che arrivano ad essere circa 3000, si presentano tutte con una certa aria familiare, il che fa supporre, anche se sono del tutto immaginarie, che l’autore le indicava con molti nomi di personaggi del luogo, o di personalità storiche, battezzando alcune di esse con i nomi di Garibaldi, Mussolini, Hitler, Pirandello, Dante.
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Molte teste si presentano come in costruzioni, vagamente piramidali ma sinuose, che oggi sono sostituite da blocchi di cemento come fossero impilati, così che l’insieme appare come una formazione unitaria, la cui sagoma ricorda un po’ le muraglie del Parco Guell di Gaudì a Barcellona. Da queste piramidi occhieggiano i volti, ora arcigni, ora severi, ora stralunati delle sculture. Il Giardino Incantato e le sue teste ci appaiono oggi cosi conturbanti perché l’autore non è mai stato succube delle mode del tempo, dalle imposizioni o di un qualche insegnamento accademico, ma sono pregne di un linguaggio cosi carico di efficacia perché nate con spontaneità, essendo state lo scopo della vita del Bentivegna. Le sue opere sono state sistemate in una sorta di percorso espositivo che si conclude nella piccola casetta dove viveva isolato, e fissate alle strutture in pietra appositamente realizzate per accoglierle.
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Non essendo però ritenuto pericoloso per la comunità fu lasciato libero di acquistare un appezzamento terreno dove si ritirò per realizzare la sua grande opera. Con la sua vena naif ebbe l’ispirazione di estrarre il tufo direttamente dalla terra per scolpire solo teste, dando loro qualsiasi espressione: ecco allora comparire teste tristi, felici, enigmatiche, sorridenti, pensierose, arrabbiate, tutte però accomunate da uno sguardo perso nel nulla; testa accatastate, affiancate e bifronti, ritratte con espressività anche se lontane da qualunque padronanza tecnica ma nello stesso tempo inquietanti per la loro fissità e spesso raggruppate come in grappoli, quasi a voler ricordare presenze ancestrali sotto forma di Totem. Le teste, che arrivano ad essere circa 3000, si presentano tutte con una certa aria familiare, il che fa supporre, anche se sono del tutto immaginarie, che l’autore le indicava con molti nomi di personaggi del luogo, o di personalità storiche, battezzando alcune di esse con i nomi di Garibaldi, Mussolini, Hitler, Pirandello, Dante.
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