L’immersione nella cultura inizia al famoso Palazzo Steri, in piazza Marina 61, uno dei luoghi simbolo di Palermo che custodisce sette secoli di arte e di storia della Sicilia. Oggi sede istituzionale dell’Università di Palermo, lo Steri (dal francese antico oster, dimora sontuosa) è uno straordinario museo di se stesso in cui ogni passaggio della storia ha lasciato testimonianze preziose: il soffitto trecentesco della Sala Magna (il “soffitto delle meraviglie”), esteso duecentoquindici metri quadrati e definito “un’enciclopedia medievale” per la ricchezza delle sue trentadue narrazioni; i loggiati; i graffiti dei prigionieri dell’Inquisizione già restaurati e inglobati nell’attuale Sala delle Armi; la Sala delle Capriate; la Vucciria di Renato Guttuso, il dipinto-icona di Palermo che l’artista nel 1974 volle regalare all’Ateneo.
I graffiti del carcere dell’Inquisizione, sempre sulla stessa piazza, sono invece tra gli inediti di questo itinerario. E’ il carcere segreto dell’Inquisizione, la prigione buia dove per due secoli, dal 1601 al 1782, gli uomini inviati in Sicilia da Torquemada interrogarono e torturarono innocenti in nome di Dio. Dal suo restauro stanno emergendo, giorno dopo giorno, graffiti, poesie, invocazioni, disegni lasciati sulle pareti dai prigionieri, una testimonianza unica al mondo che è insieme opera d’arte e atto d’accusa contro le ingiustizie del potere. A essere aperto eccezionalmente alle visite è il cantiere di restauro del pianterreno con le nuove scoperte, oggetto di interesse internazionale: sulle pareti, infatti, sono venuti fuori nuovi graffiti, sepolti da secoli sotto l’intonaco. Per la prima volta si tratta di testimonianze firmate e datate, che consentono di ricostruire l’identità e la storia dei prigionieri.
Costruita a fianco dello Steri insieme con il palazzo per volontà di Manfredi I Chiaramente, è la Chiesa di Sant’Antonio Abate, gioiello gotico dedicato al monaco dei Crociati. La chiesetta, oggi sconsacrata, apre straordinariamente le sue porte per mostrare la sua severità di linee e le sua mirabile purezza architettonica. A unica navata, ha finestre e porta ad arco molto acuto, ornate con un finissimo decoro a bassorilievo con foglie e grappoli. Sull’architrave un medaglione con Sant’Antonio Abate fiancheggiato da due angeli, due stemmi chiaramontani e due serafini. Le vetrate erano di vetri colorati, alla maniera araba. Il piccolo campanile, di pietra e mattoni, conserva ancora la decorazione di scodelle ispano-moresche.
Il giro del mondo in dodicimila piante è quello che si intraprende con la tappa successiva, l’Orto botanico di via Lincoln 2, una delle più importanti istituzioni europee, punta di diamante del dipartimento di Scienze botaniche dell’Università, che ospita la flora di tutti i continenti con eccezionali esemplari. All’Orto si deve gran parte dell’innovazione agricola nei campi siciliani con l’introduzione del mandarino, del nespolo del Giappone, del loto, le prime sperimentazioni di piante utili come il cotone, il ramiè, la soia, il sorgo zuccherino, il banano, l’aleurite.
Di tappa in tappa si arriva all’Osservatorio Astronomico del Palazzo Reale di piazza Parlamento 1, dalla cui terrazza si gode uno dei più bei panorami della città. I grandi nomi della scienza che si sono avvicendati nelle sue stanze arrampicate in cima a Palazzo dei Normanni guardavano in su, alla scoperta dei segreti del cielo. L’Osservatorio è dotato di due cupole per osservare il cielo e di un affascinante museo. Davanti agli occhi dei visitatori sfilano telescopi, ritratti di scienziati, eleganti vetrine settecentesche, storie di uomini impegnati a risolvere i misteri dell’universo. Tra i pezzi più suggestivi, tre telescopi usati dal principe Giulio Fabrizio Tomasi di Lampedusa, che ispirò “Il Gattopardo”.
In via Archirafi 18 si trova un piccolo gioiello che sembra uscito intatto dall’Ottocento, il Museo Doderlein. Fiore all’occhiello sono i 1.200 esemplari di pesci conservati con uno speciale trattamento chimico che dà effetti di assoluto realismo e che è rimasto segreto. Fondato nel 1862 dal cattedratico dalmata Pietro Doderlein, il museo racconta un ecosistema che non c’è più. Ecco gli enormi storioni pescati alla foce del fiume Oreto, e ancora le anguille, i gronchi, le cernie e i dentici. Di particolare effetto anche squali e razze provenienti da mari lontani. Le collezioni di rettili e anfibi comprendono vipere, tartarughe caretta-caretta e le lucertole delle isole siciliane. Tra i mammiferi, duecento esemplari di Asia, Africa e Americhe e due esemplari di lupo, presente a Bellolampo fino al 1936.
Un altro museo dove sembra di salire sulla macchina del tempo è quello di corso Tukory 131, il Museo geologico Gemellaro. Da vedere sono gli esemplari ricostruiti degli elefanti siciliani; Thea, ovvero lo scheletro femminile di Homo sapiens rinvenuto sui Nebrodi e la goccia d’acqua “preistorica” imprigionata in una roccia risalente a milioni di anni fa.
Un’altra chicca dell’itinerario si trova a piazza Sant’Antonio, nell’omonimo Convento seicentesco che custodisce quattro secoli di storia religiosa e laica, a due passi dalla Stazione centrale. Acquisito dall’Università di Palermo nel 2004 l’edificio all’imbocco di corso Tukory, accanto alla chiesa omonima, è oggi in corso di restauro. A essere mostrati eccezionalmente al pubblico, ancora allo stato di cantiere, sono esclusivamente gli ambienti e i macchinari dedicati alla fabbricazione del pane, reperti di archeologia industriale la cui perla è il gigantesco mulino in legno massiccio che si è conservato pressoché intatto.
Anche gli ultimi due tesori del tour sono un inedito. La Cripta delle Repentite in via Divisi 81 custodisce i segreti del convento cinquecentesco di Santa Maria la Grazia, meglio noto come convento delle Repentite, le ex prostitute convertite alla vita monastica e mantenute dalle cortigiane in servizio attraverso un’imposta pagata al Senato palermitano. Dimenticata da secoli, la cripta è tornata alla luce casualmente nel 2005, durante lavori di ristrutturazione quando, liberata da quintali di terriccio, ha rivelato il suo tesoro: un magnifico altare seicentesco, la tomba della Madre Badessa e le panche dove venivano appoggiati i corpi delle defunte secondo un'antica tradizione religiosa che, come nel convento dei Cappuccini, prevedeva il prosciugamento dei cadaveri prima della sepoltura. L’altare è affiancato da mattonelle originali che riproducono le figure di San Francesco e presumibilmente di Santa Chiara, o forse della fondatrice del convento.
Infine, nella facoltà di Ingegneria in Viale delle Scienze dentro la cittadella degli studi in viale delle Scienze, si possono scovare il plastico di legno in scala 1:50 della Mole antonelliana di Torino e una straordinaria collezione di marmi siciliani, molti dei quali provenienti da giacimenti ormai esauriti: un caleidoscopio irresistibile di colori e venature.