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Napoli Museo Archoelogico Mosaico La Battaglia di Isso

Napoli, il capolavoro della pittura ellenistica

Ospitato al Museo Archeologico Nazionale del capoluogo campano, la Battaglia di Isso si rifà ad un dipinto del pittore greco Filosseno

Mosaico Pompei<br>
© Wikipedia
Dettaglio de La Battaglia di Isso: Dario
Poco si conosce della pittura in età ellenistica, ma anche gli artisti dell’Antica Grecia hanno prodotto notevoli capolavori. I riflessi si vedono nell’area romana, in particolar modo a Pompei ed Ercolano, le cui doums erano abbellite di opere d’arte di notevole importanza. Tra queste figura anche la Battaglia di Isso, un mosaico trovato nel 1831 a Pompei, nella pavimentazione della Casa del Fauno, e custodito oggi al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

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Realizzato con circa un milione e mezzo di tessere il mosaico è una copia del dipinto eseguito dal pittore greco Filosseno di Eretria, attivo tra il IV e il III secolo a.C. La scena illustrata è quella di una battaglia tra Alessandro e Dario. I due condottieri si sono affrontati più volte, la prima nel Granico, la seconda ad Isso e la terza a Gaugamela: è grazie ad alcuni dettagli come le aste lunghissime dei macedoni e la testa nuda di Alessandro che l’opera viene ricondotta alla Battaglia di Isso. Riprendendo le tendenze del IV secolo, anche qui la composizione è impostata tridimensionalmente. Il piano anteriore è occupato da un cavallo visto di dietro e dalle armi abbandonate in terra. Nel secondo piano si svolge l’azione principale: Alessandro a testa nuda che irrompe violentemente da sinistra, preparandosi a scagliare la lancia contro il re Dario, volto ancora verso di lui ma già trascinato in fuga sul suo carro dall’auriga, che frusta i cavalli incitandoli alla corsa.

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Sullo sfondo un intrico di lance e di guerrieri e un albero contorto e secco, unico elemento paesaggistico che esprime, con la sua aridità solitaria, la drammaticità dell’evento. Nello scontro furibondo e confuso emergono i protagonisti della battaglia, con Alessandro, il vincitore fieramente spettinato, trascinatore dei suoi uomini, e Dario, che si volge indietro, indicando con la mano un compagno ferito come se stesse quasi ordinando di salvarlo. L’autore ha voluto esprimere la grandezza d’animo dei due avversario: la forza travolgente del giovane macedone e la magnanima generosità del re persiano. Sono caratteri riferiti al IV-III secolo che, insieme all’uso delle ombre portate, delle lumeggiature e dei soli quattro colori bianco, giallo, rosso e blu scuro avvalorano l’ipotesi che si tratti di una derivazione del dipinto originale di Filosseno.

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Tra i dettagli più degni di nota bisogna citare la corazza di Alessandro, dove è raffigurata Medusa, i suoi capelli ondulati, l’espressione tra lo spaventato e il preoccupato di Dario e il soldato persiano in primo piano che guarda se stesso, in agonia, riflesso in uno scudo. Oggi il mosaico originale di Alessandro è esposto nel Museo di archeologia nazionale di Napoli, e una copia fedele per forma, dimensioni, colori e materiali è stata fatta nel corso di alcuni anni presso la Scuola “Bottega del Mosaico” di Ravenna e si trova ora a Pompei.

Alcuni studiosi, tra cui Martin Beckmann, essendo in origine il mosaico posto sulla pavimentazione di una delle case più ricche di Pompei, hanno ipotizzato addirittura il percorso che avrebbero compiuto gli antichi ospiti per ammirarlo: il tour sarebbe cominciato con Dario e i persiani, con il padrone di casa sopra al grande re, mentre gli ospiti avrebbero potuto guardare l’intera scena dalla parte inferiore concentrandosi sui due persiani a terra. Successivamente ci si sarebbe spostati a sinistra: il “presentatore” sopra alla scena composta da Alessandro che infilza un persiano e gli ospiti in semicerchio per vedere lui e Alessandro, attenti a non calpestare né questi né il suo cavallo. Da qualunque parte lo si ammiri, resta comunque un’opera di straordinario valore artistico che molto fa comprendere dell’arte dell’antica Grecia.

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