Karpathos, la più
meridionale delle isole del Dodecanneso, "galleggia" a cinquecento
chilometri da Atene, nel mezzo del lungo tratto di mare che separa Creta
da Rodi. Non è la tipica isola greca, tutta spiagge deserte (ma solo
negli opuscoli promozionali) e abbuffate di spiedini di pesce. A
Karpathos si arriva direttamente con l'aereo, via Atene. Già a poca
distanza dall'aeroporto si trova la spiaggia di Ariphiatis,
una delle predilette dai surfisti europei. Le condizioni sono
favorevoli: tutta l'isola è battuta per diversi mesi l'anno da un vento
costante ma non impetuoso.
Quest'isola è un'anomalia geografica, una lingua di terra strettissima e
allungata, come un enorme gianduiotto, lungo la direzione nord-sud: una
montagna che supera i mille metri d'altezza e si tuffa a strapiombo sul
mare lungo i due versanti ricchi di pini e mirti. Le pochissime strade
asfaltate sono concentrate esclusivamente nella parte meridionale, più
pianeggiante e popolosa. Il resto è davvero selvaggio: soltanto sentieri
e mulattiere, niente benzinai né meccanici. Persino i noleggiatori di
moto e scooter si rifiutano di lasciare che i clienti si avventurino
oltre Spòa, il minuscolo centro che segna il confine tra le due Karpathos.
Appena si lascia Pigadia, la capitale, ci si rende conto di una verità
tanto paradossale quanto ovvia: Karpathos è una montagna. Ci si arriva
in traghetto e si fa il bagno in minuscole baie bianche ma la vera
natura della gente del posto è quella di una comunità montana. L'aria di
mare si respira dovunque ma le spiagge (Kyra Panaya è
senz'altro la migliore) sono poche: arrivarci non è sempre agevole
perché le coste si presentano come dirupi bellissimi ma inaccessibili.
La straordinaria ricchezza di Karpathos, che ne fa un gioiello considerato inestimabile dagli stessi greci, è il villaggio di Olymbos,
nel nord del Paese: un museo vivente di tradizioni e usanze
antichissime (l'isola ha una storia che ha inizio tre millenni fa,
quando i Dori vi si stabilirono imponendo la loro lingua che tuttora
permane in centinaia di parole del dialetto locale). Una palestra
davvero eccezionale per archeologi, etnologi e antropologi. L'arrivo a
Olymbos, dal porto di Diafani, segue una via tortuosa
che sale senza sosta dal mare, fino alla valle dominata dal villaggio:
decine di parallelepipedi intonacati e colorati, incastonati come quarzi
nella roccia a strapiombo sul mare: sono le case e i monasteri di
Olymbos. Una visione sorprendente che muta aspetto in continuazione.
Appare e si dilegua, s'ingrossa modificando la prospettiva come in un
videogioco tridimensionale.
Gli elembesi (così si chiamano gli abitanti di Olymbos) catturano
l'energia del vento con un esercito di mulini. Ne sono rimasti in
funzione pochissimi ma danno bene l'idea di quanto questa strana
comunità sia ingegnosa e affascinante. Anche la coltivazione e la
raccolta del grano da portare alle macine richiede infatti sforzi e
perizia non comuni, per via delle impervie pendici del terreno.
A fine agosto tutto il villaggio si anima: le donne indossano i costumi
delle grandi occasioni e le attività comunitarie si moltiplicano. Ci si
reca al santuario di Agios Nikolaios (San Nicola) con doni, offerte e
quel mix di devozione e superstizione che caratterizza la religiosità
dei piccoli centri. E poi la musica: Lyra e laùto (strumenti a corda),
accompagnati dalla tsambouna (una sorta di cornamusa) costituiscono la
colona sonora dei "Glendi", gare di improvvisazione canora collettiva: a
metà strada tra alcuni tipi di composizioni medievali, il rap e le
danze del golfo di Guinea.
Il pesce non è una specialità, ma non fatevi sfuggire ì "makrùni" con
formaggio di capra, i grossi pani gialli, e, soprattutto, il "baklava",
il dolce di Karpathos. L'isola ha una storia singolare: ha subito
l'invasione di mercanti ed eserciti, l'ultimo dei quali è stato il
nostro. L'abbiamo chiamata "Scarpanto" e, in un atmosfera simile a
quella descritta con ironia da Gabriele Salvatores in "Mediterraneo"
(girato nella non lontana Kastellorizo), abbiamo imposto una presenza
tutto sommato gradita più della temuta invasione turca. Qualche edificio
coloniale sopravvive, più indolente che decadente, nella capitale: tra
kebab, bigiotterie e taverne dice ancora la sua.
Se proprio non concepite una vacanza in un'isola greca senza un pittoresco porto di pescatori, allora recatevi a Finiki, sul versante occidentale di Karpathos: la strada per arrivarci attraversa valli bellissime e minuscoli villaggi, come Voladha (di origine veneziana) e Apèri.
Questa era la zona più ricca e popolosa dell'isola prima della
massiccia emigrazione in piroscafo, all'inseguimento del sogno
americano. Ora Karpathos è in bilico tra tradizione, turismo e
spopolamento, come molte altre isole greche. Ma, forse più di quelle,
sopravvive per la sua bellezza dura e difficile, quasi inaccessibile. Un
pezzo di storia senza prezzo.