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Il Sud, un altro Oman

Il Sud, un altro Oman

Il Dhofar è lussureggiante perché lambito, nella pianura costiera e nell'immediato entroterra, dal monsone di Sud-Ovest che lo rende un paradiso tropicale generoso di frutti.

Oman
©Dhofar Tourism Co.
Un’altra regione merita d’essere vista, il Dhofar, la più meridionale del Paese al confine con lo Yemen, a poco più di mille chilometri dalla capitale. Il viaggio aereo verso il capoluogo Salalah è un’ottima occasione per una ricognizione dall’alto del variegato territorio omanita: nella prima parte del volo rimango colpito soprattutto dall’estrema nudità di certi sistemi montuosi, e dall’incredibile reticolo su di essi e sugli altopiani desertici d’un apparato circolatorio di sentieri e di passaggi di acque, letti di wadi asciutti speranzosi di riempirsi di nuovo.

Ma il Dhofar è proprio un altro Oman: lussureggiante perché lambito, nella pianura costiera e nell’immediato entroterra, dal monsone di Sud-Ovest che lo rende un paradiso tropicale generoso di frutti (cocco, mango, papaya, piccole banane). Alle spalle, monti con buoni pascoli per capre e cammelli, e poi il deserto. Se Marco Polo, facendovi scalo nel 1271 di ritorno dalla Cina, ne ricordò l’intenso commercio d’incenso e di cavalli, alla ribalta della cronaca salì invece qualche decina d’anni fa per un movimento separatista che - con impostazioni ideologiche diverse - vi allignò dai primi anni ’60 agli inizi degli ’80.

Mi inoltro in un quartiere popolare di Salalah. Qui alcuni segni - impressi su una roccia inglobata in una moderna costruzione – sono ritenute le impronte della cammella sacra profanata dalla gente Thamud in disubbidienza al nabi Salih, uno dei profeti inviati agli arabi prima della venuta di Maometto. Esco dalla città alla ricerca del piccolo, ramificatissimo e selvatico albero del lubàn (Boswellia) da cui si ricava la resina dell’incenso, presente appunto nel Dhofar e in pochissime altre regioni del mondo. Con una certa emozione stacco da un esemplare isolato la sostanza gommosa, stillante da piccole ferite aperte sulla corteccia.

Ma altri entusiasmi premono a Est di Salalah alla vista della deviazione per Khor Rouri, moderna ubicazione dell’antica città-porto di Sumhuram fondata nel I secolo a.C. e abbandonata alla fine del III. Il cartello all’ingresso del sito archeologico precisa che gli scavi sono condotti dal "Department of ancient history, Pisa University, Italy".  Tanti massi ovunque, sovrapposti, alcuni numerati per smontare e ricomporre la struttura. Fisso nella memoria i resti delle tre porte d’ingresso della città, alcuni ambienti, un pozzo, un’iscrizione in pre-arabo del Sud, la splendida vista d’un wad praticamente fermo senza uscita a mare, chiuso da una striscia di terra.

Mi dispiace togliere dalle scarpe l’antica polvere di Sumhuram, ma spiagge rinomate mi chiamano a Ovest di Salalah. In tanti km di sabbia bianca, solo una tartaruga marina, e stormi d’uccelli che s’alzano al passaggio del fuoristrada. Finalmente pranzo anch’io a Port Salalah, ex Mina Raysut, che si crede abbia le più grandi gru del mondo per il carico delle merci. E in effetti, dalla spiaggia, mi sembrano enormi. Proseguo ancora in direzione dello Yemen, non molto distante ormai, verso Al Mughsail. La scritta Kah’f al Marnaif mi segnala una grotta, dopo la quale scendo in spiaggia tra sabbia e scogliere scolpite per assistere al tipico fenomeno naturale della zona: da una fessura della roccia calcarea - protetta da una grata - spruzzi d’acqua di mare s’impennano potentissimi verso l’alto per molti metri, al ritmo della risacca, facendo volteggiare impazzito pure il cappello inzuppato della mia guida Ihab.

Rientrando verso Salalah non perdo l’occasione di visitare in località Jabel Ittin, a nord-ovest della città, la tomba di Nabi Ayoub Job. Identificato con Giobbe del Vecchio Testamento, il pio uomo d’origine araba rientra evidentemente per l’Islam - come altri grandi personaggi biblici - nella categoria di nabi, in quanto comunque toccato da ispirazione divina. Prima di farmi entrare nel piccolo edificio con cupola il vecchio custode mi mostra l’impronta d’un grande piede in un tombino. Lascio le scarpe fuori del modesto locale con ventilatore sul soffitto e profumo d’incenso. Sopra la terra, i preziosi paramenti d’un cataletto gigantesco, evidentemente proporzionato alle dimensioni del piede.
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