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Copenaghen I 40 anni di christiania

I 40 anni di Christiania

L'enclave hippie si appresta a festeggiare il suo quarantesimo anniversario, ma il declino sembra dietro l'angolo.

Christiania Copenhagen
©Jose Antonio Sanchez/Shutterstock
Iniziò tutto nel 1971 quando una gruppo di hippie decise di fondare su un’ex base navale abbandonata una nuova comune in cui potere vivere e autoregolamentarsi senza dover sottostare alle leggi di un mondo troppo attento ai falsi miti proposti dal benessere, e poco alla serenità dell’individuo e del suo prossimo. 
Nel tempo quella che era la semplice libera scelta di alcune centinaia di persone, dall’esterno é diventata sia un esperimento sociale da studiare che la terza attrazione turistica di Copenhagen, dopo la statua della Sirenetta e il giardino-parco giochi Tivoli. Si può vivere in una grande capitale europea senza rincorrere il denaro, condividendo spazi e, in alcuni casi, anche beni (come le poche auto a disposizione di tutta la comunità) con i vicini di casa e continuando a professare un mondo di peace and love? Sì, verrebbe da dire, vista la longevità di cui gode Christiania. “Una città libera” erano soliti proclamare i suoi abitanti, ma non la pensa così, almeno non più, lo stato danese.

Lo scorso 18 febbraio, la Corte Suprema ha infatti rigettato l’appello contro la sentenza, emessa qualche mese prima, che dà allo stato nordico la proprietà di quell’area di terra in cui è sorta Christiania. Non il possesso della zona, almeno non ancora, ma è il primo passo verso un declino che sembra ormai già molto avviato. Gli speculatori edilizi preparano già coltello e forchetta. La situazione era peggiorata già drasticamente nel 2004 quando il libero commercio delle droghe leggere, da sempre una delle caratteristiche più originali del luogo, fu vietato dalle autorità cittadine. Da porto franco, dove nessun poliziotto metteva mai piede, Christiania si trasformò in un luogo da controllare e presidiare (e non mancarono le barricate). Ma non solo. Se prima c’era un commercio pacifico e alla luce del sole, il vuoto nel mercato conseguente all’applicazione delle leggi (contrarie al commercio delle droghe) anche nell’enclave hippie, innescò una serie di guerre tra bande per l’occupazione tanto dei posti di vendita (bene o male, anche oggi, girando per Pusher Street è più facile trovare delle droghe rispetto a qualsiasi altra via cittadina) risolta non ancora definitivamente. Da una parte, si è cominciato a chiudere un occhio sullo smercio di sostanze stupefacenti, dall’altra la stessa comunità ha cominciato a difendere sé stessa dagli spacciatori organizzati.

I kan ikke slå os ihjel”, ovvero, “Non ci potete uccidere” , è l’emblematico inno scelto dagli abitanti per capire quanto e come, fin quasi dalla sua nascita, abbiano dovuto lottare per la sopravvivenza di un “posto libero”. Chi lo vuole visitare, non ha i giorni contati, ma di certo farebbe bene a sbrigarsi. Christiania non è un posto bello, nel senso estetico del termine, ma di certo è interessantissimo. Le piccole botteghe degli artigiani, le sculture d’arte contemporanea  in mezzo ai tanti prati,  i graffiti, i piccoli teatri e i club, nonché le abitazioni, costruiscono un insieme che sembra davvero dall’altra parte del mondo. Ed invece, al contrario, si è nel centro di una delle capitali più ricche d’Europa. Proprio questa vicinanza, ovvero ciò che un tempo determinò la sua forza attrattiva per persone di tutto il mondo, potrebbe ora diventare la causa della sua fine. Sarà così o riusciremo a festeggiare altri 40 anni di Christiania?

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