C’è la Venezia del Carnevale. Dieci giorni in cui la città è
pervasa da un’atmosfera sfuggente e un po’ ambigua, da un gioco effimero dei
ruoli e dei travestimenti. Dieci giorni tra reale ed immaginario in un mondo
dove tutto può accadere tra colori, maschere, trucchi, scenografie e allegria. Una Venezia da scoprire o
riscoprire anche quest’anno dal 18 al 28 febbraio.
C’è poi la Venezia di tutti i giorni, quella degli scorci
romantici, delle piazze e dei locali affollati, degli itinerari meno noti. La
Venezia delle calli, dei campielli dei sestieri e dei ponti. Quei 446 ponti che
con i loro archi eleganti creano un intreccio labirintico tra i canali.
Originariamente erano tutti costruiti in pietra e generalmente senza le
protezioni laterali chiamate fin dal 1600 bande. Nel secolo scorso, per questioni
di sicurezza, vennero invece tutti dotati di parapetto. Solo due ponti sono
sopravvissuti “senza bande”. Uno è il Ponte del Chiodo nel sestiere Cannareggio.
L’altro si trova sull’isola di Torcello e si chiama Ponte del Diavolo.
Si racconta che il diavolo in persona, sotto le sembianze di un gatto nero,
appaia puntualmente al centro dell’arcata ogni mezzanotte del 24 dicembre.
Nessuna sorpresa invece dalla Locanda Cipriani, sempre a Torcello, ristorante
sopraffino scelto e amato da personaggi famosi e incalliti buongustai.
Quello di Torcello non è l’unico ponte a nascondere
una leggenda. Si prenda ad esempio il Ponte delle Maravegie nel Sestiere di Dorsoduro.
Si narra di una famiglia dove vivevano sette sorelle che potevano gareggiare in
bellezza tra loro, tutte tranne una che era molto brutta. Finché una notte in
cielo comparvero sette stelle, sei luminose ed una un po' più fioca. D'un
tratto quest'ultima diventò la più brillante di tutte, e così anche la ragazza
diventò la più bella fra le sorelle. Di queste curiosità e leggende sono pieni
– a saperli leggere – i “nizioleti” ovvero i toponimi di Venezia. Raccontano
una storia millenaria, fatta di leggende e di aneddoti, di commerci medievali,
come nel caso del Calle de la Fava, nel Sestiere di Castello.
Inutile
dire che il commercio principale in queste calli durante gli anni della
Serenissima era proprio quello delle fave. Oppure Riva dei Sette Martiri,
sempre nel Sestiere di Castello. La storia racconta che durante l'ultimo
conflitto mondiale, lungo questa riva erano ormeggiate le navi tedesche
stanziate nell'Adriatico. Nel 1944, in pieno scontro tra partigiani e tedeschi,
una sentinella di guardia ad una motovedetta sparì durante il turno di notte ed
il comando tedesco diede forma ad una feroce rappresaglia fucilando
pubblicamente sette uomini prelevati nel carcere di Santa Maria Maggiore. Era
il 3 Agosto del 1944, alcuni giorni più tardi il corpo della sentinella fu
ripescato dalle acque dove era caduta per evidente stato di ubriachezza.
E a proposito di ubriachezza, non si può lasciar Venezia
senza essere andati “per ombre” ovvero senza aver bevuto un buon bicchiere di
vino. L’etimologia del termine deriva dal fatto che anticamente le botti
venivano conservate all’aperto nei luoghi che godevano di ombra e quindi di
frescura. Un indirizzo per il primo cicchetto può essere Vini Da Pinto a Rialto
vicino alla Pescheria. Un’istituzione, frequentata fin dalle prime ore del
mattino anche da pescivendoli e casalinghe.