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Underground capitolino

Underground capitolino

Mentre a Roma, nei primi tempi, i Cristiani seppellivano i loro morti ancora all'aperto, utilizzando gli stessi luoghi dei "pagani", è solo verso la fine del II secolo che vennero allestiti i primi coemeteria.

catacomba
Chi vo' entrare qua dentro ci vo' assai lume che se no perde la strada. Questo suggestivo avvertimento - firmato a carboncino nella catacomba romana di S. Agnese (via Nomentana) da un solerte visitatore del secolo scorso - ci prepara efficacemente alla discesa in particolare nei cunicoli paleocristiani della Capitale e del Lazio, e in generale nella rete di tutto l'underground italiano; tenendo presente, però, che è necessario "assai lume" per cercare non solo il giusto cammino, ma pure il filo delle vicende che percorsero questi luoghi sotterranei. Le catacombe costituirono, con la venerazione delle reliquie dei Martiri e le iscrizioni funerarie, un nuovo modo di rapportarsi alla morte, e una diversa capacità di pensarla. Mentre a Roma, nei primi tempi, i Cristiani seppellivano i loro morti ancora all'aperto, utilizzando gli stessi luoghi dei "pagani", è solo verso la fine del II secolo che vennero allestiti i primi coemeteria (luoghi di riposo) separati, indicati con un termine designante poi, anche nella lingua italiana, sepolture soprattutto di superficie. Le catacombe, invece, furono sepolcreti specificatamente sotterranei, costituiti da una serie di cunicoli scavati secondo progetto o in modo irregolare, anche fino a 5 piani sovrapposti e a 20 metri di profondità! Utilizzati soprattutto per le sepolture e i culti relativi fino al IV secolo, questi luoghi furono invece adibiti, dal V al VII secolo, all'esclusiva commemorazione dei Martiri. Queste, in breve, le tappe più importanti nella storia delle catacombe romane: varie citazioni negli itinerari romani redatti per i pellegrini (VII secolo); traslazione, per motivi di sicurezza, delle loro numerosissime reliquie (IX); lungo abbandono fino ad una significativa ripresa d'interesse (XVI); fondamentale attività di ricerca, in questo campo, di Antonio Bosio, approfondita e completata mediante lunghe campagne di scavi da Giovanni Battista De Rossi (1822-1894). Considerate in passato rifugi, o comunque luoghi segreti per il culto cristiano durante le persecuzioni, le catacombe sono viste oggi essenzialmente come particolari strutture cimiteriali che, sfruttando le caratteristiche geologiche di alcune località dell'Italia centro-meridionale, solitamente permettevano di concentrare un gran numero di sepolture intorno alle tombe veneratissime dei Martiri, senza peraltro escludere anche un occasionale uso difensivo. Il nome specifico di questi complessi funerari deriva da una località situata a Roma all'inizio dell'Appia antica, a circa 4 km dalle Mura Aureliane. La zona, caratterizzata da una cava di pozzolana già luogo di sepoltura nel I secolo, era designata dai Greci immigrati come katà kumbas. Con l'arrivo (supposto) dei resti dei SS. Pietro e Paolo e l'erezione della basilica di S. Sebastiano, l'area si trasformò in grande centro di sepoltura e culto. Così, se all'origine il termine "ad catacumbas" designava le tombe dei dei 2 apostoli, dal IV secolo divenne sinonimo di qualsiasi necropoli sotterranea. Roma e le sue immediate vicinanze ospitano ben 40 catacombe cristiane e poche giudaiche. Quelle cristiane, sviluppatesi su un percorso complessivo di più di 1000 km sono così distribuite in città e negli immediati dintorni: 1 sulla Flaminia, 3 sulla Salaria antica, 4 sulla Salaria nuova, 3 sulla Nomentana, 3 sulla Tiburtina, 2 sulla Casilina, 2 su via Latina, 5 sull'Appia antica, 5 tra Appia antica e Ardeatina, 5 tra l'Ostiense, via delle Sette Chiese e l'Ardeatina, 4 sull'Aurelia antica, 3 sulla Portuense. Sono indicate, nella quasi totalità dei casi, con nomi di Santi martiri o di buoni cristiani che contribuirono in qualche modo alla creazione delle necropoli: S. Agnese, S. Sebastiano, S. Valentino, S. Callisto, S. Felicita, S. Ermete, S. Ippolito, S. Panfilo, SS. Marco e Marcelliano, S. Nicomede, SS. Marcellino e Pietro, S. Pancrazio/Ottavilla, Domitilla, Priscilla, Commodilla, Ciriaca, Pretestato, Novaziano, Balbina, Generosa, Calepodio; catacombe dei Giordani, del Cimitero Maggiore, della S. Croce, di via Anapo Nel Lazio sono presenti sepolcreti di questo tipo anche a Nepi, Rignano Flaminio, Grottaferrata e Albano. Elementi catacombali di particolare interesse sono le immagini conservate, d'alto valore simbolico (Buon Pastore, Mosè che fa scaturire l'acqua dalla rupe, figura in preghiera, stagioni, colomba, fenice, pesce), e le concise ma spesso intense epigrafi funerarie poste su alcuni loculi, arcosoli e cubiculi di famiglia, occupati dalle spoglie di donne e uomini qualunque, adulti e bambini morti nella fede. Per altri versi documenti piuttosto modesti, queste scritte ci illustrano però l'atteggiamento dei cristiani comuni di fronte alla dolorosa esperienza della scomparsa dei propri cari, e all'altrettanto penosa ricerca di senso in questa drammatica crisi esistenziale. Avviene così che anche in espressioni prive di specifici riferimenti a una vita dopo la morte e alla fede in Cristo, sembra comunque spirare un'aria di consapevole e serena accettazione, a fronte d'un destino ineluttabile ma non cieco perché evidentemente rischiarato, per gli autori delle epigrafi, da una forte luce di speranza. La breve frase "Cara, ricordati di me", in cui un affetto terreno sembra reclamare anch'esso, come l'anima, la sua eternità, fu vergato in greco nella catacomba di Priscilla (via Salaria); e così pure quest'altra struggente iscrizione consolatoria, capace (quasi) di addolcire perfino la morte, nella consapevolezza che essa costituisce il destino comune, non senza possibilità di riscatto, di tutti i viventi: "O Terzio, fratello mio, sta' di buon animo: nessuno è immortale".
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