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Viaggio nell'isola di Zanzibar

Zanzibar

Più che profumo di spezie, sole accecante, rumore dell'oceano, raccolta di alghe e cantieri dei dow, Zanzibar è uomini e donne, è tutte le etnie che si sono intrecciate in uno straordinario crocevia di commerci.

Zanzibar
L’oceano lo senti subito qui. Non è un nome, non è un concetto. È un rumore, forse. Un rumore continuo, all’inizio quasi sconvolgente. Zanzibar è il suo oceano, le navi che vi hanno gettato l’ancora, un crocevia di commerci, un incontro continuo di popoli. E ** me lo dice subito: Zanzibar è mare, è tutte le etnie che l’hanno raggiunta e popolata. Africani, indiani, arabi. Islam, certo, ma anche indù e cattolici…” Zanzibar è le sue navi.

“Forse per capire l’anima di quest’isola – ci dice *** – bisogna evitare, almeno all’inizio, la costa nord orientale. Troppo turismo, lì. Andate a vedere la raccolta delle alghe, piuttosto. All’alba mi raccomando”. Sono centinaia le donne che, mentre il sole sta per sorgere, s’immergono in acqua a passare l’intera mattinata nella raccolta. Alghe, alghe, alghe, una quantità impressionante. Diventeranno liquide, magari dense: creme con cui cospargersi la pelle ed evitare la cellulite.

“Qui nacque Freddy Mercury” - ** ci indica il portone e racconta dell’ufficiale della marina inglese che fu padre di una voce sublime. Per la strada odori penetranti e storie che a ** saltano in mente quasi per caso. Il popo Bawa, per esempio. Lo spiritello che di notte entra nelle case a punire fisicamente i malcapitati. “Come?” – gli domandiamo. ** sorride e striscia contro il muro rigido, non vuole dire di più e scuote il capo.

Immense coltivazioni di spezie attraversano l’isola. E sono sempre le donne, fondamentalmente, ad occuparsene. ** alza la testa e sospira. “Certo Zanzibar è l’isola delle spezie. Lo dicono tutti, lo senti subito, lo vedi subito. Ma sono stufo di tutto questo parlare di spezie. Ve l’ho già detto. Per me Zanzibar è il suo mare, i suoi commerci, di cosa poi…”

“Vedete? Ecco qui” – ci fa ** a Nungwi, la punta settentrionale dell’isola. “Sono spiagge da sogno e potete vederle su ogni guida e su qualsiasi depliant, ma qui è il mare a dominare. Le imbarcazioni. Qui si costruiscono i dow, le barche tipiche dell’Oceano Indiano. In questi cantieri escono le migliori, credetemi, lo sanno tutti, da qui escono le migliori!”

Lasciamo ** alle sue riflessioni. Passeggiamo, respiriamo, guardiamo, ascoltiamo. Quando ti abitui al rumore del mare, al profumo delle spezie, alla palme da cocco a ridosso dal mare, Zanzibar diventa il suo sole. Sole che brucia fino a levarti la pelle di dosso mentre il suo riflesso sulla sabbia bianca ti acceca. Sole che ti perseguita, incombente, frastornante. Sole che sudi e che infine dimentichi perché anche qui la giornata deve finire.

E quand’è il crepuscolo, quando vedi le biciclette addossate ai muri, i pescatori che si riposano, i giovani che guardano altrove, i bambini stanchi di giocare, una musica di sottofondo prende il largo. E ti torna in mente ** e vedi occhi malinconici e volti che sembrano dipinti o scolpiti. Allora ripensi alle sue parole e capisci che sono parole. Né alghe né commerci. Né spezie né sole. Ma uomini e donne. Tutti gli occhi e tutte le parole e tutti gli uomini e le donne di Zanzibar.

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