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Coyoacan. Il Messico di Frida

Nella periferia sud-ovest di Città del Messico, la controversa pittrice trascorse la maggior parte della sua vita. La famosa "casa blu" di Calle Londres 247 è oggi un museo.

Frida Casa Azul
A Coyoacàn, nella periferia sud-ovest di Città del Messico, la pittrice Frida Kahlo trascorse la maggior parte della sua vita, negli ultimi anni anche insieme al marito Diego Rivera, esponente di punta del muralismo messicano. La famosa casa blu (Casa Azul) di Calle Londres 247 è oggi un museo che “somiglia a una piccola fortezza, con mura blu giacinto e rosso corallo” – come si legge nel libro di Eryk Hanut “La strada per Guadalupe”. Qui, tra abiti appesi in teche, retablos e idoli precolombiani, è possibile vedere anche alcune copie di sue opere; gli originali si trovano nel Museo Dolores Olmedo Patiño (av. México 5843, Xochimilco, metro La Noria). Oggi la zona coloniale di Coyoacàn conserva ancora l’atmosfera bohémienne che le fu propria negli anni Cinquanta; si respira nelle piazze, nei giardini e nelle tipiche cantinas.

Proprio in questi giorni apre al pubblico presso la Casa Azul l'esposizione 'L'apparenza inganna: gli abiti di Frida Kahlo': gli abiti della pittrice tornano alla luce dopo  essere stati chiusi per 50 anni nei suoi armadi.

Il rapporto di Frida con il Messico fu intenso e per certi aspetti contraddittorio, rivelandosi, anche nei suoi quadri, molto più che come un semplice legame al luogo natio. Per comprenderlo bisogna in parte aderire a quel dolore, così simile a una passione nel senso cristiano del termine, che contraddistinse l’esistenza della donna sin dalla sua adolescenza, quando un incidente gravissimo la condannò ad un’infermità perpetua. L’accettazione tutt’altro che compassionevole di questa condizione esistenziale da parte di Frida ha un qualcosa di evangelico che richiama alla memoria direttamente la Vergine di Guadalupe, la donna dal viso tumido provato dalle sofferenze di un parto molto doloroso.

Una bramosia di vita, fatalmente invasa da presagi di morte, che riassume in pieno il senso tristemente surreale della mexicanidad, a sua volta profondamente ancorato alla storia di un popolo fondamentalmente povero e “desesperado”: Città del Messico, oltre ad essere una delle massime metropoli del pianeta, è anche la più povera. “Com’ è possibile che in una simile luce esista tanta miseria?” si chiede Eryk Hanut durante il suo soggiorno messicano. Sono questi elefantiaci paradossi a rendere l’anima del Messico inconfondibile e “così genuinamente surrealista”, come ebbe a dire lo stesso André Breton (fondatore del surrealismo artistico).

Una realtà molto articolata, definita a più voci “magica”, sacrosanta per i messicani e, in fondo, inesprimibile. L’etica della mexicanidad pervase il lavoro e l’esistenza di Frida senza soluzione di continuità, evolvendo nel tempo in uno stile, in una posizione politica e in un sostegno psicologico. “Si espresse – come scrive Hayden Herrera (l’autrice della biografia da cui è stato tratto anche il film Frida che nel 2003 vide una molto ispirata Salma Hayek vestire i panni della celebre conterranea) – nel comporamento e nell’aspetto, nel modo di decorare la casa e nella produzione artistica”. I retablos, prima di tutto, parte consistente della produzione artistica della pittrice. I piccoli quadri votivi, chiamati anche ex voto pittorici, per lo più dedicati alla santa Vergine per ringraziare dello scampato pericolo, restituiscono al genio espressivo di Frida tutta la sua sferzante umanità.

IL "DESTINO" ESOTERICO DI FRIDA

twitter@shantiomartino

IL MESSICO NELL'ARTE: 100 ANNI DI FRIDA
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