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Nel Deserto di fuoco di Mad Max Fury Road

Australia o Namibia, è il territorio il protagonista di un film che non lascia indifferenti.

Warner Bros
Molti continuano a considerare un deserto un luogo temibile, spesso da evitare, per pericoli o asperità, persino un'esperienza che abbia poco da offrire, al di là della possibilità di poter dire di esserci stati, magari senza perdere troppo tempo. Per fortuna - loro, soprattutto - molti sanno quanto questo tipo di approccio possa essere erroneo. Più o meno per ogni tipo di deserto con cui ci si possa confrontare.

Sabbiosi, pietrosi, aridi, di arbusti o rocciosi che siano, a Ovest come a Est, in un continente piuttosto che in un altro, i deserti riservano sorprese. Lo sa bene George Miller, regista di Mad Max: Fury Road che ha appena esordito al Festival di Cannes, scatenando grande entusiasmo e rinverdendo una saga - quella del 'Guerriero della strada' che fu di Mel Gibson nel 1979 - in una maniera che in pochi si sarebbero aspettati.

Allora come oggi, il deserto è protagonista. Le atmosfere e l'estetica di Mad Max sembravano non poter prescindere dalla grandeur mozzafiato dell'Outback, il 'Cuore Rosso' al centro del continente. Non a caso conosciuto anche come Back of Beyond (dietro l'oltre) o the Never-Never (il mai-mai), quello australiano è uno degli sfondi naturali più forti cui si possa pensare, capace di riempire completamente una inquadratura anche con i suoi vuoti incommensurabili.

Questo serviva a Mad Max, al suo contesto post-atomico e alle macchine che la fanno da padrone sulle strade polverose messe in scena dal regista e dal suo scenografo, Colin Gibson. "Nella mia Australia puoi guidare su stradoni per decine e decine di chilometri prima di incontrare un'altra macchina. È facile dunque immaginare scenari post-apocalittici mentre guidi", racconta Miller, cui fa eco il suo collaboratore parlando di un elemento imprescindibile in queste zone, il colore: "dopo i primi Mad Max sono arrivati tantissimi film post-apocalittici e videogame che hanno imitato quel look con i colori desaturati. È diventato quasi un cliché, una cosa abbastanza deprimente. Inizialmente avevo pensato di girare Fury Road in bianco e nero, poi ho capito invece che mi sarei concentrato sui due colori principali del deserto: il giallo/arancione e il blu del cielo. E' stata una mia decisione accenderli al massimo".

Ma il concentrarsi su macchine e colori è stato forse necessario per la produzione visto che, come a volte capita, le necessità del cinema hanno in questo caso cambiato le carte in tavola. Molto di quello che vediamo, infatti, non è il territorio australiano, ma il deserto della Namibia, dove la troupe ha dovuto spostarsi per le difficoltà trovate 'in casa', metereologiche principalmente. Un escamotage tipico di Hollywood, ma che - almeno in questo caso - non toglie nulla al fascino che un panorama come quello scelto puo' avere e trasmettere.

I deserti, in fondo, non sono tutti uguali. Lo abbiamo detto. E non lo sono i loro colori. Dietro la finzione della macchina da presa nemmeno questa è una novita'. Eppure l'aver unito in una ideale connessione queste due aree tanto lontane e diverse, per una volta ci offre la possibilita' di sognare due volte. Il problema sara' magari, dovendo farlo, scegliere se volare verso le dune africane o in cerca degli invisibili confini di quel 'mare magno' ideale che domina la parte non civilizzata o coperta di vegetazione dell'Australia.


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