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Sudan Nubia - Karima Jebel Barkal

La "Montagna pura": il Jebel Barkal

La risposta nubiana all'aborigeno Uluru. Una scalata all'alba della montagna ricompensa delle fatiche dell'intero viaggio.

Jebel Barkal, la montagna sacra dei nubiani
©Cecilia Martino/TURISMO.it/Nexta
La sua sagoma si intravede già da molto lontano quando si è ancora in pieno deserto del Bayuda. Come tutte le cose grandi, incute reverenza fin dalla sua prima apparizione, sarà anche per le notizie che apprendiamo presto sul suo conto: il Jebel Barkal è la “casa” del dio Amon-Ra, il luogo sacro per eccellenza dei nubiani, il centro spirituale del Regno di Kush, bussola nel deserto nubiano e da oltre mille anni suo cuore religioso. Insomma, questa splendida montagna di arenaria rossa è molto più di una semplice montagna. La sua conformazione rivela già una particolarità, la stessa che convinse i sovrani di Kush ad edificare proprio lì sotto il grande tempio di Amon: una piccola colonnina di pietra si stacca spontaneamente dal monolite, assumendo le sembianze dell’Ureo, la decorazione a forma di serpente cara agli Egizi nonché simbolo regale per eccellenza.

Dovunque si volga lo sguardo, con centro nel Jebel Barkal, si trovano testimonianze dell’antica civiltà napatea (750-500 a.C.), quella precedente alla merotica, con capitale Napata localizzata praticamente dove oggi sorge la moderna cittadina di Merowe (da non confondere con l’antica città di Meroe), quasi di fronte al monte sacro. Il regno di Napata si estese fino a tutto l’alto Egitto inclusa Tebe e si ricorda soprattutto per la mitica figura del più importante e famoso dei Faraoni neri della XXV Dinastia: Taharqa il Grande. Proprio per la sua importanza l’area archeologica che si estende nella zona del Jebel Barkal è soprannominata la Karnak del sud. Ai piedi della montagna, dicevamo, era stato edificato un maestoso tempio dedicato ad Amon, di cui rimangono ancora delle rovine a cominciare da alcuni arieti in granito grigio situati all’ingresso. Verso l’interno, nell’area più vicina alla base della montagna, giace un grande altare in granito grigio che porta rappresentazioni di Amon e il profilo del re Taharqa. 

Sul lato più meridionale, sempre alla base del sacro Jebel (jebel in arabo vuol dire “montagna”), è scavata una camera-santuario dedicata alla dea Hator, introdotta da due splendide colonne i cui capitelli riportano le effigi, perfettamente visibili, del volto della dea. All’interno del santuario si può notare un affresco con una scena di parto: essendo la dea Hator protettrice delle donne e della famiglia oltre ad essere la divinità della danza e della musica, della gioia e della bellezza, si pensa che all’interno di questo santuario venissero le donne a partorire, in un ambiente protetto e isolato da tutti. Varcando le soglie di questi templi e di quel che ne rimane, si incontrano i principali soggetti dell’Olimpo egiziano-nubiano, alcuni sono personaggi strani come il dio nano Bes, ad esempio, con le sue gambe storte e il capo sormontato di piume, genio benefico delle famiglie: lo si vede anch’esso nella camera-santuario “del parto”.

Dall’alto della montagna, si ha un colpo d’occhio del perimetro sacro descritto dal grande tempio di Amon, e non solo. Dall’alto del Jebel, dopo una scalata di un quarto d’ora alle prime luci dell’alba, si respira qualcosa che non ha forma né sostanza: il sole che sorge dal Nilo tinge di rosa le sue acque e schiarisce piano piano le sponde invase da palmeti, rende ancora più luminoso il colore del Bayuda, il deserto bianco che circonda la montagna trafitto dalle nuove strade asfaltate che sono state costruite a Karima. Sulla sinistra, la deliziosa Rest House che ci ha dato alloggio, appare come un’oasi discreta che dona eleganza al Grande Nulla desertico da un lato, e al caos visibile dell’agglomerato cittadino di Karima dall’altro.

Fanno parte dell’area archeologica del Jebel Barkal, le Necropoli di El Kurru e di Nuri, le nostre prossime tappe, intervallate dall’incontro con la gente dei villaggi a El Kurru.

Continua: sulle sponde del Nilo da El Kurru a Nuri

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