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Veneto Prosecco Antonio Padovan Treviso Valdobbiadene

Finché c'è prosecco c'è speranza, il Veneto è protagonista di un noir frizzante

Antonio Padovan gioca in casa, tra Treviso e le colline di Valdobbiadene.

Parthénos
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Il turismo enogastronomico è ormai da tempo una realtà, seguita e in crescita, ma della quale non riusciamo a occupaci quanto vorremmo purtroppo. Eppure abbiamo spaziato ampiamente in regioni ricche di splendidi vini, come il Piemonte, la Campania, il Trentino… Non poteva scegliere meglio, quindi, Antonio Padovan, che ci porta nel suo Veneto per il suo primo lungometraggio, Finché c'è prosecco c'è speranza.

Un nome promettente, e piuttosto esplicito, per il giallo nato come "un omaggio alla mia terra", per ammissione del regista nato e cresciuto nella provincia di Treviso, tra Vittorio Veneto e le colline  di Conegliano (prima di trasferirsi a New York). Assistiamo a una serie di omicidi e, unico indiziato, un morto: il conte Desiderio Ancillotto, grande vignaiolo che pare essersi tolto la vita inscenando un improvviso e teatrale suicidio. Un caso apparentemente impossibile per il neo-ispettore Stucky, appena promosso e talentoso, che dovrà fare i conti con le proprie paure e una battaglia in corso per la difesa del territorio e del futuro delle amate bollicine.

Alla base del progetto, l'omonimo romanzo dello scrittore trevigiano (ma nato a Musile, tra il Piave e la laguna veneziana) Fulvio Ervas, capace di raccontare un "Veneto poco da cartolina e lontano dagli stereotipi". Almeno secondo le dichiarazioni rese dal regista a La tribuna di Treviso nell'estate del 2015, quando ancora si parlava di sopralluoghi e di possibili interpreti. Dopo poco più di un anno, nell'autunno successivo, con la vendemmia 2016, le riprese sono iniziate con il veneto Roberto Citran e il friulano Giuseppe Battiston davanti alla macchina da presa nelle zone ipotizzate sin dall'inizio: Il piccolo Cison di Valmarino, Treviso, Bassano e le colline di Valdobbiadene… Circa trenta chilometri di territorio, protagonista anche nei set, per i quali si sono rivelati fondamentali anche gli ambienti della Confraternita del Prosecco di Via Piva 53, a Valdobbiadene.

Ma prima ancora che la passione per quello che definisce "il vino più trendy del momento", Padovan ammette che a spingerlo è stata soprattutto "la nostalgia di quelle colline: ero a Collalbrigo e dalla scuola in cima al colle si vedevano solo campi, oggi ci sono solo filari... Con molta modestia, vorrebbe essere un atto d’amore alla mia terra, come Woddy Allen fa con Manhattan. Cercavo però una storia per raccontarla, non ne trovavo una adatta. Poi i il libro di Ervas mi è venuto addosso". "Dopo aver passato un terzo della mia vita a New York - continua il regista, - l'ispettore Stucky è venuto a prendermi e mi ha riportato alla mia terra: un piccolo arcipelago di dolci rilievi trapuntati di vigne che si sta trasformando velocemente in un frenetico luna park eno-finanziario: Proseccolandia".

"Finché c'è prosecco c'è speranza vuole essere è un giallo ma al tempo stesso un modo per puntare la lente d’ingrandimento su una realtà geografica poco esplorata dal cinema Italiano. È un’indagine impregnata di riflessioni sul futuro che vogliamo. Un inno all’andare piano, assaporando la vita. Un ritratto di un territorio ingarbugliato tra progresso e tradizione, tra eccellenze a vergogne. Una lettera d’amore. Autentica", sono le ultime parole dell'appassionato artista. Cui fanno eco quelle di Ervas: "Il giallo narrato nel libro sarà il pretesto per raccontare la bellezza, l’operosità e le eccellenze di un Veneto che conserva angoli da sogno. Senza tralasciare il tema dello scontro tra qualità e quantità nella produzione del Prosecco"; che conclude: "Un'occasione per narrare una terra incredibile, che amo, luoghi incantati, e il mondo del vino, simbolico e affascinante… Per ricordare che chi distrugge il territorio distrugge il futuro di tutti".
 
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